Matteo Salvini ne ha fatto l’ennesima bandiera da sventolare in una campagna elettorale senza fine: tagliare i fondi oggi destinati all’accoglienza dei migranti per finanziare nuove assunzioni nelle forze dell’ordine. I numeri sono ballerini, e dipendono dal momento: si passa dalla riduzione di 500 milioni di euro, «380 dei quali da destinare alle assunzioni», annunciata tre giorni fa, per arrivare addirittura al taglio di un miliardo di euro di cui il ministro ha parlato giovedì durante la diretta Facebook dai tetti del Viminale. Soldi che oggi servono per garantire a decine di migliaia di persone che trovano posto negli Sprar (Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati) gestiti dai Comuni o nei Cas (Centri di accoglienza straordinaria) di competenza delle prefetture non solo vitto e alloggio, ma anche un’adeguata assistenza sanitaria, consulenze legali, corsi di lingua e di avviamento professionale. Un percorso fondamentale per l’integrazione che rischia di scomparite sotto l’effetto congiunto dei tagli annunciati da Salvini e del decreto sicurezza che porta il suo nome.

Quello che il titolare del Viminale non dice sono le conseguenze che questa scelta rischia di provocare e le possibili ricadute sui territori. Che si annunciano pesantissime soprattutto per i sindaci, ai quali spetterà il compito di dover gestire la futura emergenza. «Quello che si prepara è un disastro», sintetizza Matteo Biffoni, sindaco di Prato e delegato Immigrazione dell’Anci, l’Associazione dei Comuni italiani. «Se dimezzi i fondi dimezzi anche i servizi e visto che le espulsioni è impossibile farle, tutti coloro che verranno esclusi dal circuito dell’accoglienza rimarranno sul territorio. Alla fine a restare con il cerino in mano saranno i sindaci».

Stando a quanto risulta dalla relazione presentata ad agosto dallo stesso Salvini al parlamento, l’intero sistema di accoglienza nel 2017 è costato al bilancio dello Stato 2,5 miliardi di euro. Soldi utilizzati per garantire la permanenza nel circuito Sprar di 36.995 persone, tra le quali 2.177 famiglie, 3.127 minori non accompagnati e 6.898 cosiddetti «vulnerabili», vale a dire vittime di tratta o di torture, disabili, persone con disagio mentale o donne sole incinta. 130 mila sono invece le persone che trovano posto nei Cas. Un sistema che adesso rischia di saltare.

Giovedì pomeriggio nella sede romana dell’Anci si è tenuta una riunione straordinaria alla quale oltre ai rappresentanti dei sindaci hanno partecipato anche il presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera, il grillino Giuseppe Brescia, e il capogruppo di Forza Italia nella stessa commissione Paolo Sisto. Scopo dell’incontro: prevedere cosa potrebbe accadere in futuro. Non è servito molto tempo ai presenti per capirlo e fare due calcoli. Secondo alcune stime la cancellazione della protezione umanitaria, prevista dal decreto sicurezza, provocherà solo nel 2019 almeno 50 mila irregolari in più, mentre sono stati calcolati in oltre 280 milioni di euro i costi annui che ricadranno sui servizi sociali e sanitari dei Comuni. «Serviranno per assistere i soggetti più fragili che in futuro non avranno più l’assistenza di cui godono oggi con l’accoglienza. Stiamo parlando per lo più di disabili, persone con disagio psichico e famiglie», spiega Biffoni.

Una prospettiva che non allarma solo i Comuni, ma anche le Regioni. In Piemonte, ad esempio, hanno già calcolato che delle 10.380 persone accolte oggi nei Cas, almeno 5.000 sono destinate a diventare irregolari. «Sembra irrealistico che possano essere rimpatriate. Quindi staranno per le nostre strade in balia dei criminali o nel migliore dei casi impiegati nel lavoro nero», ha commentato l’assessore all’Immigrazione Monica Cerutti al termine di una riunione alla quale era presente anche il governatore Sergio Chiamparino. «Con l’aggravante che se prima i centri Sprar accompagnavano queste persone in un percorso di inclusione, ora diverse migliaia di migranti non avranno più punti di riferimento».

Finirà che se mai verranno assunte 10 mila nuove unità nelle forze dell’ordine, come promette Salvini, probabilmente serviranno per rispondere alle esigenze di sicurezza create dal decreto e dai tagli all’accoglienza. Per evitare che questo accada l’Anci ha già presentato una serie di emendamenti al decreto in discussione al Senato nei quali si chiede che sia obbligatorio il consenso dei sindaci per l’apertura di nuove strutture di accoglienza, che continuino a trovare ospitalità negli Sprar i richiedenti asilo vulnerabili e le famiglie con minori e, infine, che si aumentino i posti della rete Sprar.