«E’ evidente che sul decreto sicurezza bis noi puntiamo non molto, ma praticamente tutto», spiegava due giorni fa in televisione il leghista Alessandro Morelli dando così voce alle preoccupazioni del Carroccio sul futuro delle nuove misure anti-ong volute da Matteo Salvini. E ieri il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni ha spiegato che la decisione di porre o meno la fiducia anche al Senato, doppiando così la scelta già fatta il 25 luglio scorso alla Camera, verrà presa dal governo «quando lo riterrà opportuno». Ma le parole dell’esponente leghista sembrano essere solo pretattica e un avviso agli alleati del M5S in vista di una decisione che di fatto potrebbe essere già stata presa.

Lo scontro finale per il decreto sicurezza bis – e probabilmente anche per la tenuta del governo – comincia questa mattina alle 9 in punto in commissione Affari costituzionali del Senato. A quell’ora scade infatti il termine per la presentazione degli emendamenti e anche dal numero di quanti ne saranno stati depositati dipenderanno le prossime mosse dell’esecutivo. Solo il Pd ne ha annunciati più di mille, ma modifiche al testo sono in arrivo anche da Forza Italia, che chiede un miliardo di euro per contratti e assunzioni nelle forze dell’ordine, e – soprattutto – dal M5S. E il comportamento di questi ultimi è quello che rende traballante le sorti del provvedimento, atteso nell’aula di palazzo Madama per il 5 agosto.

Al di là dei consueti scontri quotidiani tra alleati, la pattuglia di senatori pentastellati che potrebbero complicare l’iter del decreto è infatti cospicua. Ai dissidenti e già deferiti si probiviri Matteo Mantero e Virginia La Mura, potrebbero infatti aggiungersi – almeno stando ai nomi che circolano in questi giorni – altri otto senatori non allineati, un numero più che sufficiente per dare vita a uno scenario simile a quello visto a Montecitorio, dove in 17 non hanno preso parte al voto, ma molto più dirompente. «Ripresenteremo gli emendamenti già presentati alla Camera», ha annunciato Mantero, tagliando poi corto sui rischi di una possibile crisi di governo: «Il parlamento è sovrano».

Al contrario dei leghisti chi, almeno a parole, non mostra dubbi, è Luigi Di Maio. L’ordine impartito ai pentastellati è quello di rimanere compatti proprio per evitare di offrire al Carroccio ogni pretesto per tornare alle urne «Sono assolutamente tranquillo», ha dichiarato ieri sera il capo politico del movimento. «Il decreto sicurezza contiene tra l’altro una nostra misura perché dice che se una imbarcazione viola le regole delle nostre acque territoriali viene confiscata e così chiudiamo questo show tra le ong e chi dice chiudiamo i porti».

Chi, per ora, resta a guardare nella speranza di poter magari entrare in campo dando vita a una nuova maggioranza, sono invece Forza Italia e Fratelli d’Italia. Entrambi hanno chiesto di non porre la fiducia per non far mancare il proprio sostegno al decreto. Al contrario del partito di Giorgia Meloni, Fi chiede però delle modifiche in favore delle forze dell’ordine che, se dovessero passare, comporterebbero il ritorno del testo alla Camera per una terza lettura, cosa che farebbe scadere i termini per la sua conversione in legge fissati per il 13 agosto. Ed è difficile, se non addirittura impossibile, che la Lega accetti di rischiare. «Quando si tratta di evitare di andare a casa vedrete che i numeri arriveranno», è la convinzione che circola tra i leghista e riferita soprattutto ai 5 Stelle. A scanso di equivoci, però, parlando con i suoi Salvini è stato chiaro: «Sul decreto sicurezza niente scherzi» ha avvertito.