Si chiamerà «rilancio», ma è stato rinviato. Ieri sera si riteneva che l’ex «decreto aprile», poi rinominato «maggio», infine «rilancio» doveva essere varato dal consiglio dei ministri mercoledì, ma dovrebbe slittare forse a lunedì prossimo. Il condizionale è d’obbligo considerata l’abitudine del presidente del Consiglio di annunciare provvedimenti nel fine settimana, anche sui social network. L’ultima lite nella maggioranza è avvenuta su una norma che riguardava la possibilità di un condono su «interventi edilizi già presenti sui territori» «se conformi ai Piani Attuativi di Riqualificazione Urbana». Il comma ha scatenato l’ira dei Cinque Stelle che lo ha bloccato. Non è un’ipotesi neanche lontanamente percorribile» ha detto il ministro dell’ambiente Sergio Costa. «Sarebbe una fase zero» ha commentato Rossella Muroni di LeU.

L’AZIONE DEL GOVERNO è immersa nella gestione dell’emergenza, ma sembra scontare una carenza di visione in prospettiva. E non è agevolata da una maggioranza che appare divisa anche sull’uso eventuale dei 36 miliardi di euro del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) o sulla regolarizzazione dei braccianti extra-comunitari. L’esecutivo è inoltre pressato dal prossimo capo di Confindustria Carlo Bonomi che ha lanciato una crociata dell’abolizione dell’Irap, una tassa malconcepita che tuttavia serve a pagare le spese sanitarie delle regioni. La proposta rivela l’idea di egemonia conflittuale dell’ impresa rispetto ai poteri sociali di questo esponente spigoloso, già di Assolombarda. La sua carica antagonista potrebbe porre un problema alla concertazione di questi anni. La proposta è singolare, per di più in un momento in cui tutti riconoscono la centralità del sistema sanitario pubblico. Ieri il direttore generale dell’Abi Giovanni Sabatini ha esplicitato un’idea che circola: compensare i 14 miliardi dell’Irap che resterebbero alle imprese con una parte dei 36 miliardi del Me che i Cinque Stelle non intendono usare, per il momento. A prima vista non è esattamente una spesa «diretta» né «indiretta» provocata dall’emergenza sanitaria. Se andasse in buca questa pressione, l’ insistenza per adottare il Mes vista in Italia negli ultimi mesi sarebbe finalmente più chiara. Al momento nel «decreto rilancio» non figurerebbero interventi sull’Irap. Il governo rinvierebbe ogni discorso a un ripensamento del sistema fiscale.

LA MAXI-MANOVRA da 55 miliardi di euro è più impegnativa di un «Dpcm». Contiene i 25 miliardi per il rinnovo di nove settimane degli ammortizzatori sociali ai super ecobonus al 110% per ristrutturare casa; dai bonus per acquistare bici e monopattini al tax credit per le vacanze delle famiglie da spendere negli alberghi; dalla capitalizzazione delle imprese agevolata dal varo della Commissione Ue sugli aiuti di stato che non escludono la nazionalizzazione a tempo e l’arrivo dello Stato nel capitale d’impresa fino ai contributi a fondo perduto per le imprese pari a 10 miliardi di euro. C’è l’intenzione di sbloccare 12 miliardi di euro agli enti locali attraverso la liquidità garantita dalla Cassa depositi e prestiti. Una congerie di provvedimenti che, di solito, sono preparati negli ultimi tre mesi dell’anno in vista della legge di bilancio. L’emergenza Covid 19 ha spinto a farlo in poco più di un mese per il terzo decreto «monstre» dopo il «Cura Italia» e quello «liquidità». Un’anomalia che sta mettendo a dura prova il governo, e tutti i livelli istituzionali. Si pensi ad esempio alla cassa integrazione in deroga (nell’articolo qui a fianco), oppure alla deludente iniziativa sul cosiddetto «reddito di emergenza» che rischia di ridursi a una insufficiente e occasionale erogazione di un sussidio di ultima istanza che si esaurirà prima dell’estate, il momento peggiore della crisi sociale devastante che incombe.

GLI IMPORTI di queste manovre sono anomali ed eccezionali. In ballo ci sono 400 miliardi di euro in garanzie pubbliche che si aggiungono ai già previsti 340 miliardi di euro. Cifre importanti, ma sono garanzie. Dal punto delle risorse vive stanziate in termini di Pil, rispetto ad altri paesi europei colpiti dalla pandemia, si resta bassi. La complessità dell’impresa si scontra con l’urgenza delle imprese, degli enti locali, delle famiglie e degli individui che vedono avvicinarsi lo spettro del fallimento, della disoccupazione, mentre cresce l’impressione che gli oltre 80 miliardi di euro mobilitati dal governo da marzo non basteranno per impedire rovesci drammatici nella capacità di pagare affitti per i negozi, appalti e forniture o sopravvivere con e soprattutto senza una qualsiasi tutela sociale.