Il presidente della Repubblica promulga la legge di conversione del decreto Milleproroghe, ma accompagna la firma con una lunga lettera in cui fa un elenco dettagliato dei difetti di metodo e di merito che ha trovato nel provvedimento. Ci sarebbero le condizioni per rinviarlo in parlamento, scrive. Se lo firma, spiega, è solo per non far decadere alcune disposizioni importanti che contiene, visto che – altro problema – gli è stato consegnato solo a pochi giorni dalla scadenza. Inoltre vuole dare credito all’impegno della presidente del Consiglio «a ricondurre la decretazione di urgenza entro limiti costituzionali». In futuro. Intanto in parlamento ci sono già cinque decreti legge in conversione. Che si aggiungono agli undici già convertiti, portando il totale dei provvedimenti di urgenza del governo Meloni a 16 in meno di quattro mesi (più di uno a settimana). E tutti – tranne quello sulle armi all’Ucraina – sono stati modificati con la tecnica dell’aggiunta di commi eterogenei che, con le parole del presidente, rende «evidente il carattere frammentario, confuso e precario della normativa prodotta».

È la terza volta che Sergio Mattarella accompagna la firma di conversione di un decreto legge con una lettera di critiche e raccomandazioni al parlamento e al governo. Lo ha già fatto nel settembre 2020 con il governo Conte due e nel luglio 2021 con il «sostegni bis» del governo Draghi. In particolare nel secondo caso era stato quasi ultimativo, promettendo per il futuro il ricorso al suo potere di rinvio alle camere della legge. Questa volta, scrive, ce ne sarebbero tutte le condizioni: «Anche oggi ho il dovere di porre in evidenza come varie nuove disposizioni introdotte in sede parlamentare non corrispondano ai principi e alle norme costituzionali». Una critica pesantissima, che tra l’altro peserebbe se la legge di conversione dovesse mai arrivare alla Corte costituzionale. Costituzione e sentenze della Consulta, infatti, prevedono che i decreti legge debbano avere contenuto omogeneo. E quando l’omogeneità è (largheggiando) riconosciuta nello scopo del provvedimento, come nel caso del Milleproroghe, occorrerebbe almeno che il parlamento non introducesse norme che «provvedono a introdurre o a modificare la disciplina sostanziale a regime in diverse materie», come è invece avvenuto anche stavolta. Altro che proroghe.

L’attenzione del Quirinale si è soffermata non solo ma principalmente sulla proroga delle concessioni demaniali. Infilata nel decreto dopo un accordo di maggioranza, malgrado vada contro sentenze della Corte di giustizia europea – per la quale, nota Mattarella, non si possono prorogare le concessioni senza una procedura di selezione dei candidati – e anche del nostro Consiglio di stato. Anzi, proprio per venire incontro ai giudici amministrativi, solo sei mesi fa il parlamento aveva stabilito un termine definitivo per le concessioni che adesso il milleproroghe sposta in avanti. Di un anno, ma forse molto di più. Il Quirinale infatti si è accorto che l’emendamento lega la possibilità di revocare le concessioni all’esercizio da parte del governo di una delega che scade tra due giorni, il 27 febbraio. Dunque le concessioni possono diventare eterne. Il risultato, scrive Mattarella, è in contrasto con la giustizia amministrativa italiana e con il diritto dell’Unione europea. In definitiva «alimenterà ulteriormente il contenzioso».

Il presidente comunque firma, anche facendo affidamento sulle promesse di Meloni a non abusare più della decretazione d’urgenza. Promesse che però non sono mai state fatte formalmente e pubblicamente, restando affidate a indiscrezioni su un incontro del 20 gennaio scorso con il presidente della camera Fontana. E sono anonime fonti di palazzo Chigi a garantire adesso «attenzione e approfondimento» alla lettera del Quirinale. Lettera che segnala infine buchi nella copertura per le assunzioni e promozioni del personale della polizia di stato, infilate anche queste in fase di conversione del decreto. Per finanziarle la maggioranza ha silenziosamente deciso di tagliare i fondi per il contrasto alle mafie, per i braccialetti elettronici e persino per il contrasto alla pratica delle mutilazioni genitali femminili. Ma comunque, nota Mattarella, i conti non tornano.