Contro il «Jobs Act» di Renzi-Poletti la maggioranza dei giuslavoristi italiani è in rivolta. Prima hanno costituito una mailing list, poi sono passati all’azione. L’associazione nazionale giuristi democratici ha raccolto il loro moto di indignazione e denuncerà lo Stato italiano alla Commissione dell’Unione Europea chiedendo l’apertura di una procedura di infrazione per la «clamorosa e frontale» violazione del diritto comunitario, e in particolare della direttiva europea 70 del 1999 sul contratto a termine, dei principi fondamentali della Carta sociale europea e delle convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del lavoro.

L’avvocato Pierluigi Panici, che ieri è intervenuto alla fondazione Basso per spiegare le motivazioni della denuncia, prevede che saranno «decine di migliaia» i ricorsi («e noi gireremo in camper davanti alle aziende per raccoglierli» ha precisato) contro il decreto legge che ha fissato la durata dei contratti a termine a 36 mesi senza causale. Un paletto che il governo non intende eliminare a nessun costo.
In cosa consiste l’operazione? Per Sergio Mattone, già presidente della Sezione lavoro della Corte di Cassazione e oggi presidente dell’associazione per i diritti Sociali e di cittadinanza, «il decreto legge 34 è l’epilogo dello smantellamento dei diritti del lavoro iniziato nel 1997 con il pacchetto Treu». Citando il giuslavorista Piergiovanni Alleva, Mattone ha aggiunto: «Questo è l’atto di morte del diritto del lavoro come tutela della parte debole nel rapporto di lavoro: il lavoratore». Al centro della forte polemica dei giuristi contro il governo c’è il contratto a termine.

Da strumento eccezionale, usato prevalentemente nei lavori stagionali fin dagli anni Sessanta, oggi il contratto a termine è diventato la forma principale di entrata sul mercato del lavoro. Per l’Isfol sei contratti su dieci durano meno di tre mesi, il 43% dura meno di un mese. Il governo Renzi intende generalizzarlo ancora di più, precarizzando a vita i giovani – e meno giovani – che non riusciranno più a farsi assumere stabilmente, né a ricorrere ad un giudice per difendere i loro diritti. «Si formerà un’area vasta di precari, pensionati e disoccupati che costituiranno un esercito di riserva tenuti insieme solo dall’incertezza del futuro e dalla subalternità totale – prevede Mattone – Questo provvedimento va spiegato come l’affermazione di un potere irreversibile dell’impresa all’interno di una riforma costituzionale che intende istituire uno Stato forte capace di imbrigliare i conflitti provocati dai tagli da 50 miliardi di euro all’anno al debito pubblico previsti dal Fiscal Compact a partire dal 2016». L’avvocato del lavoro Carlo Guglielmi ha spiegato i punti del ricorso che riguardano il contratto a termine, che viola la direttiva europea, e lo svuotamento di senso dell’apprendistato. Guglielmi contesta a Poletti che le proroghe saranno «solo 8».

«In realtà – spiega – possono essere molte di più, fino ad oltre 200. Nemmeno Berlusconi è riuscito a fare tanto, oggi «l’Italia è diventato il paese dove il lavoro è il meno garantito al mondo». I contenuti del decreto legge vengono definiti dai giuristi «nefandezze» perché cancellano l’obbligo del piano formativo dell’apprendistato, le 120 ore certificabili sono solo opzionali; sono state abrogate le norme che agevolano la trasformazione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato; gli apprendisti riceveranno un salario inferiore del 35% dei loro pari livello; le imprese fino a dieci dipendenti sono state esentate dagli oneri previdenziali e fiscali che sono a carico della fiscalità generale, mentre l’apprendista li pagherà integralmente. «Questa è una barbarie che porterà ad una recessione senza fine». L’iniziativa dei giuristi è sostenuta tra gli altri dal Movimento 5 Stelle, l’Unione sindacale di Base e dalle «Camere del lavoro autonomo e precario» (Clap) di Roma.