Ventiquattr’ore dopo l’annuncio roboante del governo («Basta precariato nella pubblica amministrazione»), qualcuno ha iniziato a fare i conti. Dalle 120 mila persone che dovrebbero essere «regolarizzate» (35 mila nella sanità), attraverso concorso meritocratico», dal più grande sfruttatore al mondo di lavoro precario – lo Stato italiano – sono stati esclusi i lavoratori della scuola (tra i 150 mila e le 200 mila persone), 52 mila lavoratori, tra i quali ci sono 10 mila in somministrazione (ex «interinali») e 42 mila Co.co.co., coloro che sono stati usati in maniera continua e in sostituzione del lavoro stabile a causa della spending review iniziata già alla fine degli anni Novanta del secolo scorso (-400 mila persone negli ultimi 10 anni). La stima è del Nidil-Cgil secondo il quale il provvedimento del governo è una «prima risposta alle questione precari, ma è necessario cancellare questa discriminazione in fase di conversione del decreto».

L’Usb aggredisce un altro aspetto del decreto rivolto per il 70% ai precari degli enti locali e delle regioni. «È del tutto insufficiente perché restano esclusi anche gli esternalizzati e tutti quei lavoratori costretti nella giungla delle partite Iva o delle finte borse di studio ed il tempo indeterminato inferiore ai tre anni». E poi emerge il problema dei problemi: che fine faranno tutti i precari che non vinceranno i concorsi «meritocratici» annunciati da Letta e dal suo ministro per la pubblica amministrazione D’Alia? E coloro che hanno vinto o sono stati ritenuti idonei in un concorso prima del 1 gennaio 2008? Per l’Usb il rischio è quello del «licenziamento di massa». Oppure di un’altra – ad oggi insospettabile – forma di precariato di massa a condizioni ancor peggiori. Il legislatore italiano è geniale quando si tratta di destinare la vita di almeno mezzo milione di persone al purgatorio dei senza diritti.

La Flc-Cgil, anch’essa molto critica, si è concentrata sulla singolare stabilizzazione dei precari degli enti di ricerca annunciata dal ministro dell’Istruzione, università e ricerca Carrozza. Si tratta della stabilizzazione dei precari dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). «Una decisione importante – sostiene il segretario Domenico Pantaleo – ma è inconcepibile l’ennesima distinzione nelle procedure di reclutamento tra enti di ricerca vigilati dal Miur e gli altri enti».

Sulla scuola, esclusa dai decreti approvati dal governo l’altro ieri perché obbedisce ad una normativa autonoma, è previsto un decreto ad hoc. Dovrebbe arrivare oggi, quando la partita a poker sull’Imu forse troverà una soluzione. Al momento si dà per sicura una norma sui dirigenti scolastici, poco o nulla ancora si conosce del destino del personale «inidoneo», quello di «quota 96» e sull’organico funzionale. Per queste categorie siamo agli sgoccioli perché sembrano esclusi interventi ad anno scolastico in corso. Inoltre non è affatto certo che la norma stabilita per tutti gli altri precari della P.A. – cioè la «stabilizzazione» di chi ha svolto tre anni di servizio negli ultimi cinque – sarà applicata ai precari della scuola.

La scelta del governo si spiega perchè l’Italia non rispetta una direttiva europea del 1999 che obbliga l’assunzione dei precari che sono in questa condizione. Sebbene sia stato più volte condannato dai tribunali del lavoro, lo Stato italiano non intende rispettare questa norma per la scuola. è molto probabile che arriverà una pesante sanzione dalla Corte di Strasburgo, ricorda Marcello Pacifico dell’Anief. Pur di non rispettare le regole europee, i precari saranno sottoposti ad un altro «concorsone». Il resto resterà parcheggiato nelle graduatorie.