Ieri alla Camera è iniziato l’esame sul decreto legge che riformerà la pubblica amministrazione. Dopo l’approvazione della commissione Affari costituzionali il provvedimento verrà con ogni probabilità approvato dall’aula con un nuovo voto di fiducia e poi passerà al Senato per la seconda lettura. Il testo dovrà essere ratificato dalle camere entro il 24 agosto, pena la sua «scadenza». Ad oggi sono stati presentati 700 emendamenti, ma il conteggio definitivo si avrà solo a partire da oggi. Tra i numerosi provvedimenti, c’è lo sblocco della questione «quota 96» del personale scolastico.

Quattro mila «esodati» tra docenti e amministrativi, bloccati dalla riforma Fornero, potranno andare in pensione a partire dal 1 settembre con i vecchi requisiti. Queste persone non riceveranno tuttavia il trattamento di fine servizio, ma solo al momento della pensione con le nuove regole. La misura costerebbe 416 milioni per i prossimi cinque anni e dovrebbe essere finanziata attraverso la spending review. Prima del via libera definitivo, è tuttavia consigliabile attendere il parere positivo del ministero dell’Economia sulla fattibilità economica di questa previsione.

Restando nel mondo dell’istruzione, il governo ha compiuto un passo verso la riforma dell’abilitaziione scientifica nazionale (Asn) che ha provocato negli ultimi due anni una serie di polemica a proposito dei criteri («mediane») scelte per selezionari i candidati a professori associati o ordinari «in pectore». Scenderà da 12 a 10 il numerio minimo di pubblicazioni necessarie per presentare la candidature, mentre le procedure non saranno più legate all’emissione di un bando nazionale. Promessa anche la revisione dei criteri di valutazione, mentre l’abilitazione durerà per sei e non più per quattro anni. La rivista online Roars segnala che questa riforma modifica l’identità del professore universitario. Verrà selezionato solo in base alle ricerche effettuate, e non più anche in base alla sua esperienza didattica.

Nel provvedimento all’esame ci sono novità per il pensionamento dei dirigenti della P.A. Potranno essere collocati d’ufficio in quiescenza una volta raggiunti i 62 anni d’età, a condizione che abbiano raggiunto i 42 ani e tre mesi di contributi. Da questa regola sono stati esentati, per il momento, magistrati e militari. I magistrati potranno arrivare fino ai 70 anni, ma questa regola resterà in vigore fino al 31 dicembre 2015. Il capitolo più spinoso è quello della mobilità dei funzionari pubblici entro i 50 km dal luogo di residenza. Al momento è stato stabilito che lo spostamento non avverrà senza il consenso degli interessati. E i sindacati potranno collaborare sui criteri degli spostamenti dei lavoratori da un ente all’altro.

Una soluzione che non ha convinto Michele Gentile, responsabile settore pubblico della Cgil: «La norma sulla mobilità è discrezionale e discrimina dipendenti pubblici e privati». Dovrebbe crescere lo spazio per le assunzioni, anche attraverso l’uso discrezionale dei contratti a termine. Già a partire dal 2014 gli enti locali e quelli di ricerca potranno destinare il 50% dei risparmi ottenuti dalle cessazioni dell’anno precedente per fare assunzioni. Ampliata la possibilità di affidare incarichi all’esterno. Gli enti lovali che rispettano i vincoli generali di spesa potranno stipulare liberamente contratti a termine. Non sembra questo il modo ideale per arrestare il ricorso al precariato nella pubblica amministrazione.

Il ministro della Pa, Marianna Madia, ieri ha annunciato il suo «impegno» ad «alzare le percentuali di turnover, quanto più possibile, nei settori della ricerca, dell’università.Ci sono generazioni a cui si deve qualcosa». Critica la Cisl sull’idea di «staffetta generazionale». Sarebbe limitata ai soli dirigenti, un campione limitato. E non aprirebbe invece le porte a quei «400 mila dipendenti persi dalla P.A. negli ultimi dieci anni».