Retromarcia del Pd sull’emendamento che puntava all’abrogazione dell’aumento delle indennità in caso di licenziamento illegittimo. Ieri, al termine della direzione del partito, il segretario Maurizio Martina ha proposto il «superamento». L’emendamento era statodenunciato dall’ex ministro del lavoro Cesare Damiano (Pd) che ieri si è detto soddisfatto: «è importante che sia stata ribadita la centralità della battaglia del Pd per incentivare il lavoro stabile e aumentare le tutele dei lavoratori» ha detto. La retromarcia segna un punto a favore del ministro del lavoro Luigi Di Maio che, domenica scorsa, ha fortemente criticato il Pd. I deputati hanno ribattuto che il decreto dignità aumenta le mensilità di indennizzo, ma non interviene sulla conciliazione, una procedura giudiziaria che rappresenta una scappatoia per il datore di lavoro che può pagare da un minimo di 2 a un massimo di 18 mensilità di indennizzo.

Il «superamento», non un vero e proprio ritiro», è arrivato dopo una complessa battaglia interna nel partito che ha visto schierarsi anche Gianni Cuperlo e Francesco Boccia critici, a diverso titolo, verso i componenti del gruppo Pd in Commissione. Sulle causali ai contratti a termine – che il decreto dignità riporta dopo i primi 12 mesi, oggi non ci sono – il Pd chiede che siano demandate alla contrattazione collettiva, che settore per settore può interpretare meglio le esigenze di lavoratori e imprese». Fermo il giudizio complessivo sul provvedimento: «produrrà un aumento della disoccupazione, è un «decreto precarietà» sostiene Martina. PolemicaChiara Gribaudo (Pd) con i presidenti delle commissioni Ruocco (M5S) e Giaccone (M5S) che hanno respinto un emendamento sul salario minimo (tra l’altro anche nel «contratto di governo»: «Naturalmente è ammissibile il loro emendamento sui voucher anche se nel decreto non ci sono».

Sugli 850 emendamenti ieri sono stati ritenuti inammissibili 180. Da oggi si le commissioni iniziano a votare, l’arrivo in aula alla Camera è previsto per giovedì 26 luglio, l’approvazione a fine settimana. Per arrivare al Senato e terminare l’iter nella settimana prima di Ferragosto. Tempi strettissimi che porteranno alla fiducia. L’idea non piace ai Cinque Stelle, sempre critici rispetto a queste misura. Il ministro del lavoro Di Maio, che intende seguire i lavori della sua «creatura», ha detto di «sperare» di non metterla, anche se ha denunciato il tentativo delle opposizioni di fare «ostruzionismo». La fiducia potrebbe servire per portare, urgentemente, a casa il provvedimento «simbolico» del governo. Le proposte della maggioranza che hanno superato l’ammissibilità sono una decina, compreso il rafforzamento dei centri per l’impiego con quote di assunzioni delle regioni, l’anticipo del sedicente «reddito di cittadinanza», in realtà un «reddito minimo» finalizzato alla formazione e il reinserimento lavorativo.

«Dicono di combattere la precarietà ma reintroducono i voucher; vogliono smantellare il Jobs Act, ma non reintroducono l’articolo 18. Parlano, parlano, ma di fatti non se ne vendono» ha commentato Roberto Speranza, coordinatore di Mdp e deputato di Liberi e Uguali.