Un decreto nato con l’ambizione di ridare la «dignità ai lavoratori e alle imprese» ha finito per estendere la precarietà in agricoltura, nel turismo, negli enti locali e riaffermare la centralità dell’impresa. È la breve storia, non ancora conclusa, del decreto dignità approvato ieri sera dalla Camera. Entro il 7 agosto è prevista quella sprint al Senato.

DAL 2 LUGLIO SCORSO, quando il consiglio dei ministri ha licenziato urgentemente il provvedimento, il testo è cambiato di senso e prospettiva. Caricato dal legittimo intestatario, il vicepremier e ministro del lavoro e sviluppo Luigi Di Maio, di grandi aspettative salvifiche e morali (la «dignità» dei lavoratori); militari (la «Waterloo del precariato»); politiche («licenzieremo il Jobs Act»), oggi il primo provvedimento del governo Conte sul lavoro risalta per la modestia delle ambizioni e l’incertezza legata agli esiti delle norme sui contratti a termine: previsti il ritorno della causale dopo 12 mesi; il taglio di rinnovi (da 5 a 4) e durata (da 36 a 24); l’obbligo all’assunzione in caso di mancata comunicazione della causale.

QUESTA MANUTENZIONE delle norme dei contratti resta nel quadro del Jobs Act che, in sede elettorale, il Movimento 5 Stelle aveva promesso di abolire e che, invece, permane. A cominciare dal mancato ripristino dell’articolo 18, richiesto dall’emendamento Epifani (Liberi e Uguali) e bocciato dalla Lega e dagli stessi Cinque Stelle. Al suo posto è previsto un aumento degli indennizzi. Come spesso in passato, non ultima la stagione del renzismo, anche nel «decreto dignità» il nome di un provvedimento non coincide con il contenuto. In compenso può essere descritto come un caso di «bipensiero». Per George Orwell è la capacità di affermare qualcosa e il suo opposto. Si dirà che combatte il precariato. Ma è vero anche il contrario: lo estende. E non si occupa della precarietà che non passa, solo, dal contratto a termine ma talvolta li attraversa e permane in una zona grigia senza tutele, né reddito.

LA MOBILITAZIONE DEI SINDACATI del lavoro agricolo, del turismo, della funzione pubblica della Cgil, Cisl e Uil ha permesso di riconoscere la contraddizione diffusa nel ragionamento cosiddetto «populista» che aspira a mantenere un equilibrio neocorporativo tra imprese e aziende. Il punto di rottura sono stati i voucher, già al centro della stagione referendaria lanciata dalla Cgil che costrinse il governo Gentiloni a ritirarli e fare una nuova legge. Il primo provvedimento del governo pentaleghista li ha estesi e rompe l’equilibrio auspicato dal titolo del decreto.

NELL’ULTIMO MESE una «manina» esperta, sensibile alle ragioni della Lega, ha cucito un vestito che calza a pennello per un uso esterno ai contratti dei settori che già prevedono misure per i lavori ultra-brevi, e quindi tutele e garanzia per la disoccupazione o la malattia. Resta il limite di utilizzo alle categorie specifiche stabilite dalla normativa attuale (pensionati, studenti, disoccupati e cassaintegrati). Fissato il limite di utilizzo alle aziende con massimo 8 dipendenti. Cresce la durata da 3 a 10 giorni dal momento dell’«attivazione» per l’agricoltura che per turismo ed enti locali. I voucher potranno essere usati in agricoltura, enti locali e turismo, limitatamente, in questo caso, alle sole strutture alberghiere. Si è stabilito che il lavoratore potrà percepire il compenso, dopo 15 giorni dalla prestazione, negli uffici postali.

IL MINISTRO dell’agricoltura Gian Marco Centinaio (Lega), ieri in un question time alla Camera, ha rappresentato questa estensione come una risposta alle esigenze avanzate dagli imprenditori, «ma anche dei lavoratori». E ha sostenuto che è anche una misura «per contrastare le forme di illegalità» e ha assciurato che non intende intaccare la legge sul caporalato.

I SINDACATI ritengono, invece, che i voucher così concepiti avranno un esito molto diverso. L’ultimo appello al parlamento è stato rivolto ieri dalla Cgil nel corso di un flash-mob al Pantheon a Roma. «Abbia un sussulto di orgoglio, non voti forme di precarietà – ha detto la segretaria della Cgil Susanna Camusso – Quella sui voucher è una scelta di ulteriore precarizzazione del mercato del lavoro, tradisce le numerose promesse fatte dalla politica. Un decreto che nasce con l’ambizione di chiamarsi “Decreto dignità”, ma che ha come effetto la precarizzazione, non ha nessun titolo per chiamarsi cosi».

CAMUSSO HA RIBADITO che, in caso di traduzione in legge del decreto, «ricominceremo a contrastarla esattamente come abbiamo fatto negli anni scorsi». Negli ultimi giorni la Cgil non ha escluso anche il referendum. Per il momento le categorie della Flai Cgil, Fai Cisl e Uila-Uil hanno annunciato una mobilitazione già da settembre.