Dopo avere scaricato la responsabilità del «maninagate» nel «decreto dignità» su Tito Boeri dell’Inps, il ministro del lavoro e sviluppo Luigi Di Maio ha spostato l’attenzione sugli incentivi alle imprese. Il vicepremier ha confermato l’intenzione di intervenire sugli incentivi a tempo indeterminato per stabilizzare i contratti a termine e sul taglio del costo del lavoro nella legge di bilancio. Misure che dovrebbero attutire lo scontento delle imprese per la modesta stretta sui contratti a termine la cui durata è passata da 36 a 24 mesi, mentre il numero dei rinnovi è diminuito da 5 a 4 e la «causale» è introdotta solo dopo il primo anno di rinnovi. Ieri, in un confronto a “Bersaglio Mobile” su La7, il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha chiesto a Di Maio di «togliere la causale fino ai 24 mesi». Gli incentivi serviranno a sostenere la conversione del tempo determinato in tempo indeterminato ammortizzando gli effetti del turn-over dei precari provocato dalla manutenzione sui contratti. E’ il modello già sperimentato con il Jobs Act di Renzi: le imprese hanno incassato gli incentivi, mentre le conversioni del tempo determinato in tempo indeterminato sono state fallimentari. Gli incentivi non erano comunque presenti nella contestatissima relazione tecnica al «decreto dignità» e dovrebbero essere aggiunti insieme al ripristino dei voucher in agricoltura e nel turismo nel corso dell’iter parlamentare.

DAL PREMIER CONTE è arrivata un segnale chiaro: «Le premesse che parlano di una disoccupazione che sarebbe generata dal decreto mi sembrano destituire di plausibilità. Bisogna tenere conto degli incentivi che convertiranno i contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato». Suona come un avvertimento, o un benservito, a Boeri che ha accusato Di Maio e Tria di «negazionismo economico», espressione riferita agli effetti della stretta sui contratti a termine, ma senza che ci fosse, almeno nel testo licenziato dal governo, il riferimento agli incentivi. Per Boeri cambiare i termini implica la cessazione limitata dei contratti.

UN ESITO MOLTO DIBATTUTO anche tra gli economisti che da giorni si sfidano, in punta di scolastica, su twitter e siti specializzati. Gli 8 mila contratti sono il risultato di una stima sugli 80 mila contratti che superano i 24 mesi. Il 10% potrebbero non essere rinnovati ogni anno per i prossimi dieci (3 mila nel 2018). Una parte infinitesimale rispetto agli oltre 2 milioni e mezzo esistenti. In termini assoluti l’effetto sarebbe trascurabile: lo 0,05% dei dipendenti che per l’Inps potrebbe essere riassorbito. Stime soggette a contestazioni, ma che confermano la struttura di un mercato a fisarmonica che non è modificata dal «decreto dignità».

I TRE GIORNI SULLE MONTAGNE russe sono iniziati sabato con l’accusa Di Maio alla «manina» delle «lobby» che avrebbero manomesso il «decreto dignità» e sono continuati il giorno dopo con una nota congiunta Tria-Di Maio contro i dati «scientificamente inattendibili» dell’Inps contenuti in una tabella che riporta i dati sulla cessazione di 8 mila contratti all’anno, per i prossimi dieci e non cumulativi, per un costo aggiuntivo di 60,7 milioni di euro necessari per coprire l’aumento del sussidio Naspi. Tabella che, a quanto risulta dalle ricostruzioni di questo mistero giallo-verde, sarebbe arrivata nella prima serata dell’11 luglio dopo una richiesta di approfondimenti avanzata dalla Ragioneria al ministero del lavoro. Sembra che quest’ultimo avesse trascurato di quantificare il costo delle cessazioni. I dati sarebbero stati inseriti successivamente. Il presidente Mattarella ha firmato il Dl la sera del 12 luglio. Esiste un’altra variante: il calcolo sui contratti sarebbe stato consegnato il 6 luglio, mentre l’11 l’Inps ne avrebbe quantificato il costo economico. L’accusa alla «manina»sembrava alludere a un hackeraggio del testo. La contestazione di Di Maio e Tria ai dati di Boeri del giorno dopo sembra invece accreditare la versione per cui entrambi erano a conoscenza degli 8 mila contratti, ma che hanno lasciato correre. Tra smentite e retroscena il mistero resta ancora da sciogliere. Il presidente della Camera Roberto Fico ha detto di «credere a Luigi Di Maio» facendo sponda alla fronda dei «complottisti». Su Boeri si è limitato a dire che se la vedrà con Palazzo Chigi.

IL «MANINAGATE» ha sospeso l’attenzione sugli altri problemi di un decreto eterogeneo che dispone lo stop alla pubblicità sul gioco d’azzardo e contiene norme sui diplomati magistrale. L’equilibrio su cui si regge è fragile. Da un lato, la delegittimazione di Boeri all’Inps – Salvini ne ha chiesto le dimissioni, per Di Maio la legge lo impedirebbe e bisogna aspettare la fine del mandato a febbraio 2019 – è servita per evitare la rottura tra il vicepremier pentastellato e Giovanni Tria e smentire le voci emerse dai Cinque Stelle che hanno promesso «pulizia» contro «serpi» presenti nella Ragioneria dello Stato e nel ministero dell’economia. Dall’altro lato, sono state rinviate le tensioni che potrebbero esplodere nella maggioranza sui voucher che il ministro dell’agricoltura Gian Marco Centemero (Lega) intende modificare. Per Flai Cgil, Fai, Cisl e Uila-Uil è una dichiarazione di guerra. Dal 24 al 26 luglio manifesteranno a Montecitorio. Alle commissioni Finanze e Lavoro della Camera il termine per la presentazione degli emendamenti è fissato alle 20 di giovedì 19 luglio. Le audizioni iniziano oggi. Previsti gli interventi di Di Maio e Boeri. Il testo potrebbe essere licenziato nel fine settimana.