Nel decreto dignità George Orwell avrebbe riconosciuto un esempio di «bipensiero»: la capacità di affermare qualcosa e il suo opposto. Il «decreto dignità 2.0» contiene una stretta sui contratti a termine, rivendicata ieri il ministro del lavoro Luigi Di Maio nel corso della discussione generale alla Camera sul provvedimento che sarà votato giovedì 2 agosto. Il ritorno della causale dopo 12 mesi; il taglio di rinnovi (da 5 a 4) e durata (da 36 a 24); l’obbligo all’assunzione in caso di mancata comunicazione della causale; le norme sulla somministrazione possono essere intesi come una «lotta contro la precarietà». Lo stesso decreto contiene però la precarizzazione del lavoro stagionale in agricoltura e nel turismo perché estende l’uso dei voucher. Da oggi fino a giovedì i sindacati dei lavoratori dell’agroindustria Flai Cgil, Fai Cisl e Uila-Uil (dal 1 agosto quelli del commercio e del turismo Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl, Uiltucs-Uil) torneranno a protestare a piazza Montecitorio. Per loro il «decreto Di Maio» è una «schifezza» e «una vergogna».

Lo schema del bipensiero può portare un sollievo a chi è sensibile alla sceneggiata delle imprese contro la «rigidità» del mercato che sarebbe causata dall’aumento contributivo dello 0,5% aggiuntivo rispetto all’1,4% previsto dalla legge Fornero previsto dal rinnovo dei contratti. Per questo è stata introdotta la proroga al 2019 e al 2020 degli incentivi alle imprese per le assunzioni stabili e il periodo transitorio fino al 31 ottobre prima dell’entrata in vigore delle nuove regole. Misure per cercare di neutralizzare il turn-over dei precari. Stanziati 300 milioni fino al 2021 coperti con l’aumento delle tasse sui giochi d’azzardo. Da punti di vista opposti, nel quadro di un equilibrismo neocorporativo tra imprese e lavoratori, nel decreto «simbolico» i contraenti del «contratto di governo» continueranno a trovare motivi opposti per essere critici e soddisfatti.

Di Maio è tornato a denunciare «le lobby». «Il decreto non è il male assoluto – ha detto – è stranissimo che lo si combatti. Il 4 marzo i cittadini ci hanno chiesto di licenziare il Jobs Act e noi lo faremo». Reintroduzione della causale a parte – elemento che più innervosisce le imprese – è difficile vedere un «licenziamento» del Jobs Act. Di Maio avrebbe potuto ripristinare l’articolo 18, la causale dal primo contratto a termine, rivedere le norme sul «contratto a tutele crescenti». Ha invece alzato gli indennizzi nei casi di licenziamenti individuali illegittimi. Allo stesso tempo il vicepremier non si è soffermato sulla contraddizione dei voucher che rende meno credibile la «lotta contro la precarietà». Resta forte la denuncia contro le fake news «che hanno terrorizzato la classe imprenditoriale». L’allusione è alla tabella Inps degli 8 mila contratti in meno causati dal decreto: stima tra l’altro prudente e variabile. Di Maio trascura invece le «fake news» sui voucher: i colleghi del suo governo hanno sostenuto che sono «reintrodotti» con il decreto. In realtà esistono. Sono limitati, mentre ora ci sono i contratti di prestazione occasionale che garantiscono un minimo di tutele.

Un caso di bipensiero sembra quello dei diplomati magistrali che denunciano il rischio di licenziamento a giugno 2019. Ieri il presidente della Camera Roberto Fico (M5S) li ha ricevuti: «Non vi fate fagocitare dalla Lega» gli hanno chiesto. Fico ha promesso di interessare il ministro dell’istruzione Bussetti. Pd, Forza Italia e LeU hanno presentato 450 emendamenti, la Lega quattro, tra cui uno sugli incentivi per le imprese che assumono over 35. E si pensa di modificare le causali, spostandole da 12 a 18 mesi. Un significativo contributo per rasserenare l’offensiva delle rappresentanze d’impresa del Nord Est che hanno scatenato l’offensiva contro la Lega in questi giorni. I cinque Stelle dicono di essere soddisfatti per gli emendamenti approvati in commissione. «Si possono votare entro giovedì – ha detto Di Maio – Ma se si usano per l’ostruzionismo allora non c’è volontà di rispettare gli accordi». E sarà messa la fiducia.