Gli strali di Carlo Bonomi sul decreto antidelocalizzazioni sono totalmente improvvidi. Già senza le sue dichiarazioni dalla bozza di decreto sono sparite sia la multa del 2% del fatturato per le imprese che non rispettavano il decreto che la creazione di una cosiddetta black list di imprese che hanno delocalizzato e non avrebbero potuto accedere a incentivi e appalti pubblici. Insomma, le due norme che più colpivano le imprese che lasciano l’Italia nonostante utili e ordini sarebbero già state cancellate.

Il testo preparato dalla vicceministra M5s dello Sviluppo Alessandra Todde e dal ministro del Lavoro Andrea Orlando che prevedeva entrambe le norme è stato modificato, sebbene la discussione fra i due dicasteri vada avanti con una riunione in programma nei primi giorni della prossima settimana.

La norma sulla black list è stata cancellata perché avrebbe allungato i tempi di attuazione a causa di un necessario passaggio al ministero della Giustizia, competente in materia. Ma è sulla norma più dura – la multa fino al 2% del fatturato – che la discussione è ancora aperta. Anche sul tetto dei dipendenti a cui si applica la norma c’è discussione: la prima bozza prevedeva le imprese sopra i 150, ora il testo prevede sopra i 250 dipendenti, livello che escluderebbe dall’applicazione la Gianetti Ruote e i suoi 151 operai.

Dal ministero del Lavoro si fa sapere che la ratio del testo è sempre stata «la responsabilità sociale delle imprese», dunque «non in un’ottica punitiva». Da parte della viceministra Todde – che condivide comune l’ottica del provvedimento – si continua a spingere per mantenere la multa, sebbene si è pronti a compromessi pur di accelerare sull’approvazione del decreto così da poter intervenire sulle delocalizzazioni già in atto: Gianetti Ruote e Gkn.

Proprio il collettivo di fabbrica della azienda di Campi Bisenzio, dove 500 operai sono sull’orlo del licenziamento a causa della decisione del fondo inglese Melrose di delocalizzare la produzione di semiassi per auto, ha chiesto di poter scrivere assieme al governo – «Non deve essere scritta sulle nostre teste, deve essere scritta con le nostre teste» – la normativa.

Se le interlocuzioni con la viceministra Todde sono in corso – «siamo aperti a proposte» – è l’obiettivo del decreto a essere diverso. Il governo punta a ridurre gli effetti occupazionali; i lavoratori della Gkn vogliono invece mantenere i loro posti di lavoro. Di qui la scelta di chiamare a Campi Bisenzio un gruppo di giuslavoristi per modificare il testo del decreto. Il punto dirimente è questo: il governo sostiene che la «libertà di impresa» prevista in costituzione non permette a una legge di vietare i licenziamenti per delocalizzazione, specie se fatti spostando le produzioni in un altro paese dell’Unione europea – nel caso della Gkn sarebbe la Polonia con il suo basso costo del lavoro – ; il collettivo di Campi Bisenzio e i Giuristi democratici – che giovedì alle 20,30 organizzano un’assemblea aperta ai cancelli – invece sostengono che rendere illeciti i licenziamenti sia perfettamente possibile e anzi propongono di metterlo nero su bianco nel testo del decreto. I giuristi puntano a integrare la normativa prevista del decreto sostituendo le inefficaci sanzioni economiche con misure idonee sia a garantire l’occupazione e la prosecuzione dell’attività sia a riconoscere qualcosa ai lavoratori, vere vittime della delocalizzaizone. Utilizzando uno strumento di intervento previsto dalla legge 296 del 2006 proprio per risolvere le crisi salvaguardando l’occupazione – l’istituzione presso il Mise della «Struttura della crisi di impresa», se l’attuazione del piano richiesto all’azienda «non viene approvato, la procedura di licenziamento collettivo avviata e i licenziamenti eventualmente intimati sono inefficaci». Insomma, se il «piano di mitigazione» dell’impresa – previsto dal decreto – non convince il governo, la i licenziamenti non sono validi. Questa sì che sarebbe una svolta.