Il senso del «Decreto Agosto» approvato «salvo intese tecniche» dal Consiglio dei ministri ieri sera sta nel rinviare l’inizio di una prevista ondata di licenziamenti tra novembre e l’inizio dell’anno prossimo. Questa misura pragmatica che impegna quasi la metà dei 25 miliardi di euro in extradeficit rallenta la crisi, ma non la cancella. A questo scopo serve l’estensione per altre 18 settimane delle casse integrazioni al termine delle quali scadrà il blocco dei licenziamenti in vigore dal 17 marzo. Le prime nove settimane sono a carico dello Stato, le altre nove saranno gratuite per le aziende che hanno perso almeno il 20% del fatturato nel primo semestre della crisi pandemica. Le altre che hanno perso di meno oppure hanno guadagnato e faranno comunque ricorso alla cassa integrazione per risparmiare sui salari dei lavoratori dovranno pagare un contributo che varia dal 9 al 18%. Non solo: le imprese che hanno usato la Cig solo a maggio e giugno potranno richiedere l’esonero totale dei contributi previdenziali per quattro mesi e in questo periodo non potranno licenziare. Potranno farlo dopo.

INVECE DI PROIBIRE l’uso opportunistico degli ammortizzatori sociali al di là delle situazioni di reali crisi aziendali, già accertato nei primi mesi dell’emergenza nel 30% dei casi, e trovare un modo di recuperare le risorse pubbliche di cui si sono appropriate queste imprese danneggiando i loro lavoratori, il governo continua ad approvare questa pratica e si limita a mettere «paletti». A seguito della minaccia dei sindacati Cgil, Cisl e Uil di convocare uno sciopero generale il 18 settembre nel caso in cui il blocco dei licenziamenti fosse finito il 15 ottobre con lo stato di emergenza, l’esecutivo e la maggioranza hanno raggiunto un compromesso sulla durata del blocco collegandolo all’estensione variabile dei periodi di cassa integrazione. Questo significa che un’impresa che ha iniziato, o continuerà, a usufruire della Cig dal 13 luglio, non potrà licenziare per 18 settimane. Potrà farlo dal 16 novembre in poi. E così via tutte le altre, fino alla fine del 2020 o dall’anno prossimo. Ma è anche possibile che arriverà un provvedimento finanziato dai 20 miliardi di euro del piano europeo «Sure». Così si potranno prolungare queste e altre misure tampone per rallentare per qualche mese ancora l’esplosione dell’emergenza sociale nel lavoro dipendente.

LE DUE NORME apparse ieri nella bozza del decreto sembrano rientrare in questa prospettiva. C’è quella che permette all’Inps di esaminare fino al 30 settembre le domande di Cig rigettate e in decadenza a fine agosto, E quella che mette a disposizione il sussidio Naspi per coloro che accettano di farsi licenziare, tramite accordo collettivo per la risoluzione del rapporto di lavoro. Di solito la Naspi è riconosciuta in caso di perdita involontaria del lavoro. Queste e altre soluzioni saranno probabilmente adottate nei prossimi mesi per ampliare l’uso degli ammortizzatori sociali. Nella speranza di aumentare l’occupazione, sempre precaria, il decreto proroga i contratti a termine senza indicare la causale fino alla fine dell’anno. Nel frattempo si continuerà ad aspettare una ripresa capace di riportare il lavoro nel deserto della recessione.

LA CRISI è stata già considerata conclusa per il lavoro autonomo e quello precario che hanno ricevuto i bonus nei mesi scorsi. Il decreto non li ha rinnovati. In compenso gli acconti delle tasse di novembre slitteranno ad aprile per le partite Iva che hanno subito perdite di almeno il 33%. Sono previste anche eccezioni legate all’estate. Ieri si parlava di un’indennità «una tantum» di mille euro per stagionali e tempi determinati nel turismo e nelle terme. E poi per i lavoratori dello spettacolo, alcuni intermittenti e i venditori a domicilio. Il sussidio sarebbe stato tagliato di duecento euro. Nella bozza non si parlava più un bonus da 1200 per due mesi (600×2). In compenso le imprese turistiche avranno uno sgravio contributivo per 3 mesi fino a un massimo di 8.060 euro annui. Nella stessa direzione si muovono gli sgravi previdenziali del 30% per le imprese del Sud. La decontribuzione potrebbe durare fino al 2029, in maniera decrescente. In generale si conferma l’approccio alla questione sociale del governo: misure temporanee, occasionali, condizionate per i lavoratori e misure limitatamente incondizionate per le imprese. Si pensi qui solo al taglio dell’Irap alle imprese entro i 250 milioni di euro di fatturato che hanno fatto profitti durante il lockdown. Invece di approntare un sistema di tutele universali e strutturali contro la crisi per chi non rientra nel contratto di lavoro dipendente, a partire da un reddito minimo o di base, si preferisce erogare altri 400 euro di «reddito di emergenza» per le famiglie poverissime. Entro il 15 ottobre. Dopo, per il governo, non saranno più povere. Questo «reddito» era stato presentato come «universale», ma non ha coperto una platea soddisfacente nelle precedenti due tranche. Ora lo si prolunga per una terza.

NELLA BOZZA di 109 articoli la pioggia di micromisure è numerosa. Si va da un fondo di formazione per le casalinghe da 3 milioni al bonus baby sitter che è stato triplicato solo per il personale medico. E c’è un piano «cashless» che premia chi paga al ristorante o nei negozi con carta di credito. Prevista la rateazione delle imposte sospese in 24 rate mensili, mentre i commercianti di 29 città riceveranno una compensazione per le perdite subite dall’industria del turismo che ha trasformato i centri storici in Disneyland. Non manca una sanatoria sulle concessioni delle spiagge interessate dal contenzioso sulle concessioni demaniali per finalità turistiche. Si verserà il 30% dell’importo dovuto in un’unica soluzione o il 60% a rate per sei anni.

L’ULTIMO SCONTRO nella maggioranza prima della riunione in serata è stato sul bonus «Filiera Italia» a ristoranti e imprese agroalimentari. Ieri sera stato tagliato da 900 a 400 milioni a fondo perduto per acquisti «made in Italy». Per difendere la sua proposta la ministra dell’agricoltura Bellanova ha lasciato la clinica dove era ricoverata per accertamenti e ha partecipato al consiglio dei ministri.