Passano gli anni, anzi i decenni, cambiano i nomi del partito e spuntano nuovi segretari. Però il vizietto di inseguire la destra titillando gli umori del suo peggior elettorato il partito che oggi si chiama democratico e ieri era Ds non se lo toglie. Dagli indimenticati «decreti sicurezza» di D’Alema contro la microcriminalità, quelli che «fa più scalpore uno scippo a Milano che tre omicidi in Sicilia», sino alle conferenze stampa improvvisate da Veltroni per chiedere più galera, per arrivare agli attuali exploit di Marco Minniti: «La sicurezza è pane per i denti della sinistra», da quel punto di vista non cambia mai niente, nonostante le smentite dei responsi elettorali. Tanto che la cosa dà persino un certo senso di stabilità nell’imprevedibile caos della vita contemporanea. Un senso di sicurezza.

L’idea di rispolverare a Napoli norme varate per le emergenze assolute in modo da concedere al ringhioso Salvini lo spazio comunale desiderato è ancora il meno. Già più pesante quel decreto sicurezza con tanto di Daspo per i writers che attentano al decoro urbano, neanche fossero patiti del jihad.

Ma il guaio grosso, uno di quelli che oltre a costare i voti di chi forca per forca sceglie i forcaioli di antica tradizione rischia di far ballare il governo anche in aula, è il decreto immigrazione, attualmente in discussione al Senato. Per la disperazione dei neo-sinistrorsi freschi di scissione, porta la firma non solo di Minniti ma anche del guardasigilli nonché grande speranza della sinistra Pd, quella interna e quella limitrofa, Andrea Orlando.

Il decreto invece di cancellare la vergogna dei Cie la moltiplica però cambiando il nome che fa tutto un altro effetto. Da Centri di identificazione ed espulsione a Centri di permanenza per il rimpatrio. Da 6 a 20, uno per regione. Da una capienza complessiva di circa 700 detenuti, pardon rimpatriandi, a 2mila.
Per il resto non cambia niente: identica inutilità, medesima vergogna.

Il peggio arriva quando si passa alle norme che dovrebbero accelerare le espulsioni, e a tal nobile fine squartano i princìpi basilari del diritto, tipo il desueto «La legge è uguale per tutti». Per i richiedenti asilo sarà invece decisamente diseguale. Potranno contare non su tre gradi di giudizio, come chiunque altro dai ladri di galline all’aristocrazia del crimine, ma solo su due. Via l’appello che il tempo corre e bisogna cacciare gli irregolari in fretta. Sulla loro sorte, che spesso vuol dire sulla loro vita o sulla loro libertà, data la natura dei regimi da cui fuggono, non deciderà una corte ma un giudice monocratico, e lo farà senza contraddittorio, cioè senza convocare il soggetto interessato, ma solo basandosi sulle registrazioni dei colloqui con la commissione che ha respinto la domanda di asilo. Ove fosse avanzata richiesta di confronto diretto il monocratico può scegliere se accedere o se accontentarsi del video, che al solito si fa molto prima.

Significa fare a brandelli garanzie e diritti della difesa, ma il cronometro e gli umori dell’elettorato più incarognito va da sé che pesino di più.

Per un partito neonato e che si vuole diverso e più a sinistra di quello che ha appena abbandonato non sarà facile votare un decreto che incide a fondo sulla concezione stessa del diritto, che per questo è già stato oggetto di critiche spietate da parte dell’Anm e che è a forte rischio di incostituzionalità. Ma bocciare un decreto che porta la firma anche di Andrea Orlando sarà per l’Mpd altrettanto difficile, tanto più se, come è possibile, quei 14 voti fossero al Senato decisivi.