«Incostituzionale? No, ci hanno lavorato seimila uffici… è venuto fuori un bel prodotto». Salvini non può che mostrarsi tranquillo, ma il percorso dei suoi decreti sicurezza non è in discesa. Che il rinvio del Consiglio dei ministri che doveva approvarli sia tutt’altro che «tecnico» vista l’assenza del presidente del Consiglio e di Di Maio (del resto Conte ieri sera era tornato a Roma) in fondo lo mette in chiaro lo stesso Salvini, quando dice «poteva sembrare che me li votassi da solo, i decreti». Si rende conto che il via libera del Consiglio dei ministri è solo l’inizio del percorso. Il passaggio al Quirinale, la conversione in parlamento con le probabili modifiche, e infine i ricorsi (ma questi sempre lontani nel tempo) alla Consulta: sono tanti gli ostacoli davanti ai decreti sicurezza e immigrazione. Ma intanto Salvini è interessato più che al tavolo del Consiglio dei ministri alla successiva conferenza stampa, per segnare un altro punto nella gara mediatica con i 5 Stelle.

Le ripetute rassicurazioni che non ci sono «tensioni né malumori» sui decreti – prima di Salvini, poi di Conte, mai di fonte grillina – non fanno che confermare i problemi. La cancellazione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari, la riduzione da due anni a uno della durata dei permessi «speciali», le restrizioni sulla cittadinanza, l’aumento esponenziale dei casi in cui la domanda di asilo dev’essere respinta, il limite al gratuito patrocinio, la norma inutilmente crudele in base alla quale i richiedenti asilo non potranno più iscriversi all’anagrafe, sono solo alcune delle misure che molti parlamentari M5S potrebbero avere difficoltà a votare. E magari, prima, il Quirinale a lasciar passare. Così secondo copione, i decreti potranno ugualmente essere annunciati come cosa fatta lunedì prossimo, al termine del Consiglio dei ministri convocato al mattino, ma con quella formula che ne consente la riscrittura integrale: «Salvo intese». Intanto le riscritture sono già in corso, come ha ammesso lo stesso Conte ieri a Salisburgo: «Fino all’ultimo momento prima della deliberazione i testi possono essere rivisti». Anche l’Associazione nazionale dei comuni ha fatto pervenire al Viminale le preoccupazioni di tutte le amministrazioni comunali, comprese quelle grilline di Torino e Roma, per un decreto che riporta in auge «l’accoglienza dei migranti in grandi strutture che genera problemi di integrazione».

Se i 5 Stelle hanno cominciato a fare resistenza non è solo per ragioni di merito. I decreti di Salvini arrivano in Consiglio dei ministri dopo che due iniziative di marca grillina, il disegno di legge anticorruzione del ministro Bonafede e il decreto Genova del ministro Toninelli, sono state ostacolate dalla componente leghista. I 5 Stelle renderanno la pariglia, tantopiù che la stretta sull’immigrazione arriva in parlamento proprio nel pieno della sessione di bilancio, quando le tensioni tra alleati sono al massimo e non c’è spazio per approvare più di uno o due provvedimenti diversi dalla finanziaria.

Quanto agli aspetti del decreto sull’immigrazione che possono prima o poi finire sotto la lente della Corte costituzionale, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Oltre a quelli già citati, ci sono vari esempi di «doppio registro»: solo per i migranti vengono considerate definitive condanne che ancora non lo sono, o viene penalizzato il semplice fatto di essere indagati. E la Costituzione, come ha ricordato appena due giorni fa il presidente della Consulta, «è uno scudo nei confronti dei poteri dello stato che neppure il legislatore può violare».