L’amore da favola della trilogia di Sissi firmata da Ernst Marischka tra il 1955 e il 1958 è solo un ricordo lontano. Qui siamo più dalle parti del recente Spencer di Pablo Larraín, in piena decostruzione del «mito», con la libertà di reinventare gli eventi storici con liberatoria e arbitraria fantasia, giocando sulla metafora che si cela dietro alla costrizione degli abiti come i ruoli che vestono altrettanto stretti, come il Corsage del titolo, appunto, il corsetto che l’imperatrice Elisabetta d’Austria, consorte di Francesco Giuseppe, portava allacciato fino quasi a toglierle il fiato. Lady D e l’imperatrice Sissi: due personaggi distanti nel tempo eppure incredibilmente affini, entrambe incastrate in un matrimonio infelice, logorate dall’attenzione «mediatica», ossessionate dalla propria immagine e dal proprio corpo. Il fitness, la fame d’amore, la solitudine, gli amanti, i disordini alimentari. Il biopic «revisionista» della regista austriaca Marie Kreutzer presentato ieri in concorso a Un Certain Regard è principalmente il racconto di una donna moderna e ribelle che, appena raggiunti i 40 anni di età, si affaccia a una nuova fase della vita, assai meno disposta ad accettare qualsiasi compromesso.

Lady D e l’imperatrice Sissi: due personaggi distanti nel tempo eppure incredibilmente affini, entrambe incastrate in un matrimonio infelice, logorate dall’attenzione «mediatica», ossessionate dalla propria immagine e dal proprio corpo.

E VICKY KRIEPS, al tempo stesso forte e fragile, enigmatica e sensuale, veste alla perfezione i panni della sovrana, della quale non vengono risparmiate nevrosi e insoddisfazioni, ma mai subite passivamente. Anzi, in preda a una tensione centrifuga che la spinge sempre al di fuori dei luoghi, delle situazioni e delle regole sociali che la soffocano, la sovrana è un personaggio sempre in movimento, alla ricerca spasmodica di una via di fuga.

Il film in costume a corte con l’utilizzo della musica in senso anacronistico non è più una novità almeno dalla Marie Antoinette di Sofia Coppola, ma questa è una delle poche concessioni al «pop» (nei titoli di coda c’è anche un breve omaggio alla Katherine/Jeanne Moreau di Jules et Jim). La regista austriaca, infatti, tende piuttosto a inseguire un suo rigore formale, del resto coerente con il clima severo della monarchia asburgica. Teorico magari non tanto quanto il film di Larraín, anche Corsage, comunque, ragiona sulle immagini, omaggia gli esperimenti pre-cinema (dal cineografo al cinematografo), elabora il concetto di «finzione» e di messa in scena (qui tutto è finzione, tutto è rappresentazione, sia per gli uomini che per le donne, nel pubblico e nel privato).
Ma soprattutto evoca un potere salvifico della settima arte, capace non solo di abbattere le barriere imposte dalle convenzioni, ma addirittura – proprio come in Spencer – di cambiare il corso della Storia.