Il termine «Medioevo» è ricorrente nel nostro parlare comune: spesso lo si usa in senso negativo, con accezione polemica, come qualcosa di ripugnante ai nostri costumi civili, o a quelli che tali si pretendono; per descrivere condizioni di ignoranza o di oppressione particolarmente intolleranti, si parlerà di «tenebre del Medioevo».

L’ETÀ DI MEZZO, così concepita, sarebbe stata un tempo di superstizioni, dominato dall’egemonia della Chiesa, dalla prepotenza di una nobiltà guerriera d’origine barbarica e dall’ignoranza di miserabili plebi. Tale la visione che del Medioevo si dava già a partire dalla storiografia quattro-cinquecentesca e che trionfò nel Settecento, come ben si vede nella pubblicistica degli autori della «civiltà dei Lumi», in particolare nell’Encyclopédie del Diderot e del D’Alembert e nell’Essai des moeurs del Voltaire. Là affondano le radici del nostro stesso attuale modo di pensare, quando – anche inconsciamente – finiamo con l’attribuire al Medioevo tutte le possibili barbarie della storia, facendone quasi un alibi per altri periodi.

MA, ACCANTO alla «leggenda nera» del Medioevo concepito dagli illuministi, si situa polemicamente la «leggenda aurea» del Medioevo immaginato dai primi romantici come tempo della fede religiosa sincera, del puro eroismo, della spontaneità artistica e poetica.
È un vecchio tema romantico: alla fine dell’Ottocento, senza dubbio anche in relazione al darwinismo che si affermava nelle scienze tanto naturali quanto sociali e che, con la sua dottrina evoluzionistica, privilegiava in tutti gli eventi il momento delle origini, si andò diffondendo al contrario nella storia, nella letteratura, nelle arti, una diffusa passione per le fasi della decadenza delle civiltà.

DI ESSE SI APPREZZAVA il clima che si descriveva come di mollezza e di corruzione, di crisi, di distruzione della ragione e di sensuale abbandono. Un «altrove» fantasticamente immaginato e descritto, al pari del cosiddetto «orientalismo», che spostava non a Oriente, ma nel passato il motivo della fascinazione: oggi tendiamo infatti a definirlo «medievalismo».

INSIEME A QUESTO c’è il Medioevo come età della fede religiosa, delle cattedrali, dei castelli, della nobiltà cavalleresca, della fantasia, dei sentimenti e dell’amore. Un Medioevo eroico ugualmente stereotipato rispetto a quello «oscuro», che va di moda nelle rievocazioni storiche, nei romanzi, nelle serie tv, ma che pure trova spazio nella saggistica magari divulgativa, ma comunque di alto livello.
In questi ultimi anni il Festival del Medioevo, organizzato a Gubbio (sede medievale per eccellenza) a cavallo fra settembre e ottobre, ha sposato l’idea di poter mettere insieme specialisti del settore e pubblico colto, ma non accademico, interessato al tema, e ha vinto la scommessa consolidando edizione dopo edizione la sua importanza.

IL FESTIVAL, quest’anno dedicato al Mediterraneo, lo scorso alle donne, lascia spazio non soltanto alla medievistica (ossia alla riflessione storiografica scientifica), ma anche alla medievalistica, con i suoi interessi per i modi in cui quell’epoca storica o è stato ed è rappresentato attraverso le arti (dall’architettura al cinema) fra età moderna e contemporanea. Adesso si fa anche editore pubblicando una raccolta fitta di brevi saggi: C’era una volta il Medioevo. Sognato. Immaginato. Rappresentato (Festival del Medioevo, pp. 390, euro 20). Gli autori sono Franco Cardini, Tommaso di Carpegna Falconieri, Umberto Longo, Francesca Roversi Monaco, Federico Fioravanti (ideatore del Festival), Arnaldo Casali, Riccardo Facchini, Davide Iacono, Geraldine Leardi, Sonia Merli, Daniela Querci; fra i temi troviamo borghi, chiese e castelli ricostruiti o costruiti ex-novo (da Notre-Dame di Parigi al Valentino di Torino), ma anche la musica, film e serie tv, l’immancabile (ormai) Tolkien, la pittura e molto altro ancora.
Per un Medioevo sempre attuale che affascina come in passato, magari oggi con uno sguardo un po’ scanzonato come quello del Guglielmo da Baskerville / Sean Connery che campeggia sulla copertina.