Grazie alle assemblee, scioperi e mobilitazioni di lavoratori e sindacati, seppur con colpevole ritardo, la politica inizia ad accorgersi del dramma sociale prodotto dallo scandaloso decollo di Ita nana e dell’atterraggio senza freni di Alitalia, entrambe a totale capitale pubblico.

Se è scontato che i candidati a sindaco di Roma si preoccupino per gli 8 mila esuberi attuali, ieri anche i partiti di maggioranza – Leu, Pd, M5s, Lega – hanno iniziato a chiedere conto al governo di un passaggio di consegne totalmente opaco, gestito con decreti modificati di corsa senza rispettare i lavoratori – applicando con l’ex manager Fiat Alfredo Altavilla «il metodo Fca» con l’uscita dal contratto nazionale e il taglio del salario del 30% e di ferie e permessi – sotto il costante ricatto di Bruxelles che ha imposto condizioni capestro e sta per chiedere il rimborso di 900 milioni come aiuto di stato ad Alitalia.

DOPO LE AMMISSIONI del ministro Giorgetti – incalzato dall’interrogazione di Stefano Fassina – ieri ha parlato l’altro ministro competente in materia, Enrico Giovanni: «Per le persone che resteranno nella vecchia Alitalia non solo ammortizzatori sociali di breve termine, ma anche per una formazione continua», il tutto in vista di una risibile possibilità che Ita aumenti dalle attuali 2.800 «al massimo di 5.500 nel 2025» le assunzioni.
Ancora silente colui che formalmente con il Tesoro è l’azionista unico di entrambe le compagnie: Daniele Franco. Evidentemente è in attesa di lettere ufficiali dalla commissaria europea alla Concorrenza Margrethe Vestager, vera regista dell’operazione concordata e subita dal governo Draghi.

La preoccupazione inizia a lambire palazzo Chigi e nel corso del Consiglio dei ministri di ieri mattina si è affrontato il dossier Alitalia, sebbene senza discutere misure ad hoc che saranno presto necessarie. L’incognita è una sola: i 900 milioni dei prestiti ponte dati dal governo Gentiloni – ministro Carlo Calenda – ad Alitalia che lo stato dovrebbe farsi rimborsare provocheranno il fallimento della stessa e tutto finirà in cavalleria? Diversamente i commissari di Alitalia non potranno accettare di vendere 52 aerei e una parte degli slot a «prezzo simbolico», come vorrebbe Ita per decollare il 15 ottobre. Insomma, un gatto che si morde la coda fra aziende pubbliche, in cui a perderci finora sono soltanto i lavoratori.

IERI È PROSEGUITA L’ASSEMBLEA degli addetti Alitalia sotto la sede aziendale a Fiumicino mentre nel pomeriggio i sindacati confederali Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti – dopo la rottura di lunedì con Ita – sono stati ricevuti al Nazareno da una delegazione del Pd. «I nostri punti irrinunciabili sono la cassa integrazione fino al 2025, rispetto del contratto collettivo e un accordo che garantisca il progressivo assorbimento di tutti i lavoratori di Alitalia da qui al 2025», ha spiegato Fabrizio Cuscito, segretario nazionale Filt Cgil

La risposta del vicesegretario Pd Beppe Provenzano è stata apprezzata: «È urgente la convocazione di un tavolo in cui l’intero governo si assuma la responsabilità politica del futuro della compagnia. Serve piena chiarezza sul percorso di riassorbimento in Ita del personale». Senza citare «il metodo Fca», Provenzano ha comunque criticato fortemente Altavilla: «Stigmatizziamo fortemente il proposito di uscire dal contratto nazionale e il clima degenerativo che ha caratterizzato le relazioni industriali delle ultime ore. Il dumping sociale è sempre inaccettabile, diventa scandaloso in una azienda pubblica», ha concluso il vicesegretario Pd.

OGGI TUTTI I SINDACATI – compresa la Cub, esclusa dai negoziati – saranno in presidio a piazza San Silvestro, vicino Montecitorio dalle 10 alle 14.

In teoria il tempo per un cambio di rotta ci sarebbe: Bruxelles non ha ancora dato il via libera e sostituire i vertici di Ita e cambiare piano industriale sfruttando realmente i 3 miliardi di capitale pubblico per avere una compagnia grande che lotti contro Ryanair – che si sta accaparrando rotte e clienti – e i giganti Lufthansa e AirFrance – a cui Vestager ha riconosciuto aiuti pubblici ben più grandi – è ancora possibile.
Maurizio Landini detta la linea: «Non abbiamo alcuna intenzione di usare soldi pubblici per dei licenziamenti, li vogliamo usare per rilanciare tutto il settore aereo». Il governo ascolterà?