È stato «un decollo con turbolenze»: così lo stesso Gabriel Boric ha definito il suo primo mese alla guida del Cile, dicendosi però sicuro che il suo governo sia in grado di superarle.
Un avvio accompagnato da un enorme carico di aspettative, di cui il giovane presidente è stato fin dall’inizio ben consapevole, garantendo per questo, nel suo discorso di insediamento dell’11 marzo, il proprio impegno a «dedicare anima e corpo» al compito di «rendere migliore la vita nella nostra patria», affinché diventi realtà il sogno di fare del Cile un paese «che ci protegga, ci accolga, si prenda cura di noi».

Ma altrettanto consapevole Boric si era mostrato riguardo al fatto che quel «periodo di grandi sfide e di immensa responsabilità» iniziato l’11 marzo sarebbe stato «duro e complesso», tanto più in un avverso scenario internazionale, con l’aumento dei prezzi del carburante e degli alimenti provocato dall’invasione russa dell’Ucraina.
E la complessità di quella sfida è apparsa ancora più chiara un mese dopo, quando il presidente non ha esitato a fare autocritica, ritenendo che «l’abitudine che c’è talvolta in politica di dare la colpa a qualsiasi cosa e non riconoscere le difficoltà proprie non deve essere la nostra linea».

CHE NON SI TRATTASSE di una facile transizione era del resto scontato, soprattutto a fronte della necessità di conciliare le due anime del governo, quella di Apruevo Dignidad e quella legata alla vecchia Concertación, e di piegare le resistenze dell’oligarchia.
E di certo già in queste prime cinque settimane non sono mancate le pressioni per spingere l’azione di governo verso una linea moderata, affinché l’agenda popolare costituita dalle rivendicazioni dell’estallido social, la rivolta del 2019-2020, sia sacrificata a favore dell’agenda del riformismo capitalista.

Ecco allora gli attacchi alla ministra dell’Interno Izkia Siches, protagonista di alcune mosse azzardate e di una falsa accusa all’amministrazione Piñera a proposito di un mancato rimpatrio di migranti venezuelani; l’insistenza sulle solite questioni della difesa dell’ordine pubblico e della lotta al «terrorismo mapuche»; gli allarmi sul rischio di un aumento incontrollato dell’inflazione nel caso di un nuovo ritiro anticipato dei fondi pensione, per scongiurare il quale Boric ha lanciato il suo piano di ripresa economica inclusiva “Chile Apoya”.

PER NON PARLARE dell’incessante campagna contro la Convenzione costituzionale, a cui Boric ha fin dall’inizio garantito il suo appoggio più deciso, insistendo sulla necessità di una Costituzione che unisca l’intero paese, al posto di quella «imposta a sangue, fuoco e frode dalla dittatura». Quella Convenzione che oggi procede faticosamente in mezzo a mille compromessi senza al momento soddisfare nessuno.

Una promessa, però, Boric l’ha già mantenuta: quella di firmare durante la prima settimana del suo governo l’adesione allo storico Accordo di Escazú, il primo trattato giuridicamente vincolante in materia ambientale dell’America latina.