Dopo il caso di Marta, la donna che ha trovato il suo feto sepolto in un cimitero romano col proprio nome sulla croce, si muove il Garante della Privacy che «ha deciso di aprire un’istruttoria per fare luce su quanto accaduto e sulla conformità dei comportamenti, adottati dai soggetti pubblici coinvolti, con la disciplina sulla privacy».

IERI UN’ALTRA DONNA ha trovato il proprio nome su una tomba al cimitero Flaminio di Roma. Era andata sul posto con l’associazione «Differenza Donna» per verificare sul campo la denuncia di Marta. Anche Elena (nome di fantasia) aveva subito un aborto terapeutico dopo la 20esima settimana di gravidanza: anche lei non aveva chiesto la sepoltura. Come le altre che l’associazione ha contattato dopo aver visto i loro nomi sulle croci.

«Ho assistito in diretta al dramma di questa donna che ha trovato il suo nome sulla tomba», spiega l’ex ministra Pd Livia Turco, che ha partecipato alla manifestazione. «Credo sia giusto rispettare la dignità dei feti con una sepoltura, ma qui siamo davanti a una umiliazione delle donne, a una colpevolizzazione violenta». Turco teme si tratti solo della punta dell’iceberg: «Succede solo a Roma o anche altrove? Questo è un campanello di allarme, se serve una modifica della legge si intervenga subito».

In tante si mobilitano, a partire da un folto gruppo di parlamentari e consigliere regionali del Lazio del Pd, Leu, M5S, radicali, che parlano di «grave violazione della privacy oltre che della libertà di scelta e dei diritti delle donne» e hanno presentato interrogazioni al premier Conte e alla Regione guidata da Nicola Zingaretti. Tra loro Laura Boldrini, Rossella Muroni, Marta Grande e Enza Bruno Bossio. Le esponenti di Europa Verde Silvana Meli e Laura Russo si rivolgono al ministro della Salute Speranza chiedendo di «bloccare questo comportamento oltraggioso nei confronti delle donne». Le consigliere capitoline Valeria Baglio e Giulia Tempesta (Pd) hanno presentato un’interrogazione urgente alla Giunta di Roma.

Si muovono anche le associazioni. «Al cimitero abbiamo visto almeno 150 tombe coi nomi delle madri. Siamo determinate a procedere in una azione legale collettiva che sostenga tutte le donne che hanno visto così violare la loro privacy, i loro vissuti e le loro scelte», annuncia la presidente di «Differenza Donna» Elisa Ercoli. «Il nostro ufficio legale sta studiando come procedere».

HA GIÀ LE IDEE CHIARE Cathy La Torre, avvocata e attivista bolognese per i diritti civili. «Si tratta di una inaudita violazione della privacy e in particolare del regolamento europeo del 2016 che vieta di trattare dati genetici, relativi alla salute o alla vita sessuale della persona». La Torre è pronta col suo studio Wildside-Human First a citare per danni chi ha deciso di mettere quei nomi di donne sulle croci. E ha aperto una mail per raccogliere storie di donne che hanno subito questa violazione.

«La responsabilità di quello che accade al Flaminio ricade sul Comune di Roma e la società Ama, che a quanto si evince operano con discrezionalità», attaccano Rossella Muroni e Marta Bonafoni, della Lista Zingaretti. «Ci attiveremo per modificare le norme comunali e regionali».

L’ospedale San Camillo, dove è avvenuto l’aborto terapeutico di Marta, con una nota ufficiale spiega che la struttura «non ricopre nessuna funzione né responsabilità sulle modalità di sepoltura del feto». Attività che «sono di completa ed esclusiva competenza di Ama». «Se problema di violazione della privacy vi è stato», spiega il direttore generale Fabrizio d’Alba, «questo non è riferibile alle attività dell’azienda ospedaliera e della Asl, ma è avvenuto all’interno del cimitero Flaminio». Ama, interpellata dal manifesto, ribadisce di aver agito «per garantire l’identificabilità delle sepolture».

LA PRATICA DELLA SEPOLTURA dei feti all’insaputa delle madri si sta allargando a macchia d’olio in tutta Italia. Secondo la Torre «ci sono almeno 80 cimiteri dei feti». Spesso associazioni come «Difendere la vita con Maria» (Advm) stipulano convenzioni con le Asl per seppellire anche i feti sotto le 20 settimane, visto che dopo 24 ore dall’aborto i genitori perdono la potestà sul cosiddetto «residuo abortivo». «In quel momento subentriamo noi», ha spiegato il presidente di Advm padre Maurizio Gagliardini. «In 17 anni abbiamo seppellito circa 100mila feti in 60 città italiane».