Il dispositivo scenico e l’impianto drammatico messi in piedi da Letizia Renzini per il suo Decameron 2.0 che ha aperto la stagione del Metastasio di Prato, rivela tutto l’orgoglio umanistico e la competenza digitale dell’autrice. Che prende Boccaccio a spunto per una escursione, dilaniante e maieutica, fra le incomprensioni, le alienazioni e i dolori del tempo presente. La natura è matrigna, la tecnologia un drago contro cui niente può un san Giorgio di turno, la rivelazione della verità non è di conforto ai sensi e tanto meno ai sentimenti. Renzini sfrutta, con pura eleganza e affilata energia, le faglie della comunicazione contemporanea, una bulimia controllata, sottilmente compiaciuta, che frattura la continuità narrativa e moltiplica i punti di vista. Renzini coniuga ansie performative, set patinati, paesaggi di video arte, siparietti danzanti, eclettismi canori, oasi affabulanti.

IL COMPLESSO MOSAICO, estetico esoterico, ci proietta nella inconsistenza apocalittica dei nostri giorni, riflessi, in disturbante contraddizione, nelle coperture dorate che avvolgono, ripescati dalle onde, corpi di migranti e scheletri di derelitti. Nel gap tra realtà e sua mistificazione, operavano in video Monica Piseddu, Monica Demuru, Lore Binon, e in scena Jari Boldrini, Maurizio Giunti, Lucrezia Palandri, Marina Giovannini (sue le coreografie), sugli innesti recitativi di Theodora Delavault, terremotati dal flusso sonoro di Yannis Kyriakides, integrato dal vivo dalla chitarra pluviale di Andy Moor. Ancora domani.