Renzi “trinitario” (premier, presidente europeo e segretario Pd) manovra sempre a modo suo.
L’Istat certifica la recessione? Matteo@governo.it scrive ai parlamentari di maggioranza. L’Europa si preoccupa dei conti e del debito? «L’Italia deve cambiare, ma dipende solo da noi. Avanti con più decisione» rassicura. Il partito del 40%? Coincide con il leader, con buona pace di tutti.
Il vangelo politico secondo Matteo è scolpito nel “decalogo riformista”. E il calendario si sfoglia solo a partire dal 1 settembre, giorno in cui «partiranno i “MilleGiorni” che ci porteranno entro il maggio 2017 a disegnare un’Italia diversa, più efficiente e competitiva» esordisce nella missiva a deputati e senatori che lo sostengono. Non contano le statistiche, non bisogna dar retta alle Cassandre, non c’è fretta sui dossier di Cottarelli né sulla partita doppia del Tesoro. Renzi scandisce cinque obiettivi politici: la riforma costituzionale («Passaggio storico, fondamentale: ci siamo»); la riforma elettorale («Passata la prima lettura alla Camera, alla ripresa andremo in Senato»); la politica estera, perché «c’è bisogno di più Italia specie nel Mediterraneo»; la sfida educativa ovvero «La cultura, la Rai e soprattutto la scuola attendono un disegno organico di riscrittura e riscoperta. Inizieremo a fine agosto con un percorso di radicale riflessione sulla scuola, con particolare attenzione alla scuola media, all’autonomia e al rapporto formazione/lavoro»; la Spending Review: «è ontologicamente questione politica, che non possiamo rinviare. Ci siamo dati obiettivi che manterremo».
Quindi nei 1000 giorni di Renzi si procede anche sul fronte amministrativo. La lettera ai parlamentari declina il riformismo architettato e in cantiere. Lavoro con il Decreto Poletti: «Siamo contenti dell’aumento di centomila posti di lavoro tra maggio e giugno. Ma alla ripresa va accelerato il disegno di legge delega». Pubblica amministrazione con il Decreto Madia un po’ meno efficace nell’ostentazione propagandistica. Fisco: «Il primo decreto è già stato approvato. Dobbiamo correre verso la dichiarazione precompilata. L’abbassamento delle tasse per i ceti medio bassi per 10 miliardi di euro annui e la riduzione del 10% dell’Irap sono un passaggio storico per l’Italia, ma non ancora sufficiente». Giustizia con l’impegno. «I testi saranno nel consiglio dei ministri del 29 agosto». Stessa data cerchiata in rosso anche per lo SbloccaItalia che «conterrà le misure sull’efficientamento energetico, sulle reti digitali, sulle semplificazioni burocratiche».
Conclusione della missiva in perfetta sintonia con il Renzi style delle larghe intese: «Avanti, allora, con ancora maggiore decisione. Senza incertezze, senza paure, senza frenate. Il processo di riforme è partito. Procede. È iniziato un percorso senza ritorno».
Ma la gelata dell’economia è un fatto che complica tutto. E il ministro Pier Carlo Padoan, che fa la spola fra Roma e Bruxelles, assomiglia tanto ai suoi predecessori. «Non ci sarà alcuna manovra correttiva per il 2014». Tuttavia, ai mercati non basta e quindi occorre chiosare: «Il bonus da 80 euro è permanente, usatelo. Abbiate fiducia».
Molto più esplicito il viceministro Enrico Morando, Pd ramo lib, che pochi minuti dopo la pubblicazione ufficiale dell’Istat si fa intervistare da Affari Italiani: «L’economia va male, molto peggio di come avevamo previsto. Bisogna accelerare sulla strada delle riforme. Il problema non è cambiare la rotta, ma confermarla e accelerare per riportare il Paese su un sentiero di crescita stabile che è ancora lontana da essere conseguita». Chiaro? Come la vera manovra che slitta sul 2015 con il fardello di un punto in meno di Pil pari a 6-8 miliardi. Morando, di fatto, prefigura un “fabbisogno di stabilità” che rischia di raggiungere i 25 miliardi.
E il presidente di turno della Ue (che ha già bruciato un terzo del tempo) dovrebbe anche far lievitare il rapporto deficit-Pil fino al 2,9% giusto giusto sotto la soglia limite. Insomma, se non è la riedizione di Tremonti di sicuro è lo scenario che fa rimpiangere (eccome…) Enrico Letta soprattutto dentro il Pd.
Ultima questione, che alimenta proprio la “nostalgia”, è la gestione del partito. Di fatto, senza segretario e quindi evaporato nella leadership assoluta del «faccia a faccia» con Berlusconi. Nell’agenda politica del Pd di Renzi non c’è più nemmeno posto per le Regionali 2015, il “caso Venezia” o il dopo Errani in Emilia. Tutti schienati dall’uomo solo al potere?