La Corte d’Appello di Milano che scivola nella definizione della legge Severino. La giunta per il regolamento del senato che prolunga il wrestling sul voto palese, ben sapendo che alla fine su Berlusconi si potrà comunque chiedere il voto segreto. L’aula che per questo è costretta ad allungare ancora i tempi del voto finale sul Cavaliere, e il Pd che nel tentativo di inseguire sia gli alleati che i 5 stelle finisce col votare per lo slittamento e prendersi gli insulti degli uni e degli altri – oltre a dover contare una decina di voti in dissenso. E soprattutto Berlusconi, che di coerenza e apparenze non si preoccupa e chiede direttamente a Letta di salvarlo. Minacciando altrimenti la crisi: Alfano e le sue colombe stanno tornando a casa, i numeri potrebbe averli.

Una giornata, l’ennesima giocata sul fronte dei destini personali di Berlusconi, assai confusa. Il rumore di fondo dello scontro tra partiti ha preso ad alzarsi a folate, preannunciando novità che non sono arrivate. Ha cominciato la Corte d’appello di Milano che nel motivare il nuovo calcolo dell’interdizione del Cavaliere (due anni) ha definito la legge Severino, quella che impone la decadenza e l’ineleggibilità del condannato, una «sanzione riservata all’autorità amministrativa». «Sanzione amministrativa!», hanno subito esultato le truppe berlusconiane di ogni tendenza, istruite dall’avvocato Ghedini. E dunque vale la legge del 1981, portata a memoria dagli azzeccagarbugli parlamentari: «Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione». Morale: la legge Severino non può essere retroattiva, evidentemente lo scorso parlamento l’ha delegata al governo in tutta fretta perché valesse tra una decina di anni, e Berlusconi è salvo. Solo che quel passaggio nelle motivazioni dell’appello ha tutt’altro senso. Serve ai giudici per chiarire che la decadenza non è una «pena accessoria penale», ma che la Severino ha introdotto un «presupposto per la incandidabilità del soggetto», un prerequisito di moralità, che poi è la tesi sostenuta in questi mesi da tutti gli avversari del Cavaliere. «Sanzione amministrativa» è quasi un refuso, l’uso di un termine tecnico con intenzioni informali che produce però la sollevazione del Pdl. Che arriva a chiedere la riconvocazione della giunta per le elezioni, quella che dopo tre mesi di tira e molla ha deciso per la decadenza. Anche i berlusconiani, almeno chi ha letto tutta la motivazione – dove tra l’altro si legge che «il ruolo pubblico dell’imputato aggrava la valutazione della sua condotta» – comprendono che i magistrati milanesi non avevano alcuna intenzione di favorire il Cavaliere, tanto più che il passaggio incriminato serve ai giudici per respingere la questione di costituzionalità sollevata dall’avvocato Ghedini. Ma provano comunque ad approfittare della circostanza. Di converso tra i senatori Pd c’è chi parla di sentenza scritta male e che almeno «dimostra che non esiste il complotto dei giudici».

Neanche i democratici però sono immuni da errori. Avendo deciso di seguire i grillini nella richiesta di voto palese sul Berlusconi – ma non sta bene modificare il regolamento in corsa, dunque si deve «interpretare» – devono battagliare in giunta per le elezioni. Al massimo apriranno la strada a un voto segreto su richiesta di venti senatori, che ha il medesimo effetto pratico (e cioè il rischio di franchi tiratori che ricadrebbero inevitabilmente sui democratici). Ma per aspettare la giunta, anche l’aula deve fermarsi. E così la richiesta sempre dei grillini di mettere in calendario il voto finale sulla decadenza il 5 novembre – palese o segreto che sia – non può essere accolta. Così argomenta ufficialmente il Pd, mentre una decina di senatori tra i quali Casson, Pezzopane, Puppato e Mineo votano per la soluzione proposta dai 5 stelle e da Sel. Ma se non sarà il 5 novembre, deve comunque essere in quella settimana, perché è l’ultima prima della sessione di bilancio. Altrimenti Berlusconi rischia di mangiare il panettone alle buvette.

A destra strillano, soprattutto il capogruppo Schifani che deve dimostrare di essere falco quando in gioco c’è la sorte di Berlusconi. Richiama il presidente Grasso all’imparzialità, insiste non senza qualche ragione che l’interpretazione del regolamento non può capovolgerne il senso. In giunta in serata si replica, Nitto Palma per il Pdl propone di rinviare di una settimana, il Pd dice no e dunque si riprende stamattina, con i favorevoli al voto palese in vantaggio di un voto vista la conversione di Lanzillotta, Scelta civica ma tendenza Renzi. Da palazzo Chigi solo una replica informale alle attese che Berlusconi ha affidato al solito libro di Vespa. Non ci sarà nessun intervento di salvataggio, il piano giudiziario e quello di governo restano distinti. Vedremo.