Il voto di mercoledì prossimo in giunta sulla decadenza del senatore Berlusconi ha già perso interesse: è scontato che la proposta del relatore Augello (Pdl) sarà battuta, e serviranno almeno altre due settimane prima di poter chiudere la prima fase del procedimento. Poi toccherà all’aula del senato (anche in questo caso senza fretta) confermare l’indicazione della giunta, ed è su questo passaggio che si è spostata l’attenzione. Per il senatore berlusconiano Giovanardi, il Movimento 5 stelle potrebbe approfittare del voto segreto per salvare clamorosamente Berlusconi dalla decadenza, non si capisce bene se per salvare così anche la legislatura o per mandarla definitivamente all’aria (l’intenzione, nella trama del complotto, sarebbe la prima, ma l’effetto più probabile sarebbe il secondo). Per rispondere a questi sospetti, ma anche per smontare tutte le manovre che il voto segreto alimenta, i grillini propongo allora di votare su Berlusconi in modo palese. Il Pd, un po’ in ordine sparso, risponde favorevolmente. Il Pdl è contrario. Ma si tratta di una proposta che si risolverebbe in un imprevisto assist per il Cavaliere, dovendo passare necessariamente per una (lenta) modifica del regolamento.

Sul punto le norme in vigore resistono dal 1988 (presidenza Spadolini) e sono il frutto di un compromesso tra la richiesta dell’opposizione (il Pci) di espandere il voto segreto e la resistenza della maggioranza (il pentapartito). Per il terzo comma dell’articolo 113 del regolamento del senato «Sono effettuate a scrutinio segreto le votazioni comunque riguardanti persone». Dunque nel caso della decadenza di Berlusconi non c’è neanche bisogno della richiesta di voto segreto da parte di 20 senatori (che invece è necessaria in altri casi, per derogare alla regola del voto palese). L’esperienza dice che quando si vota con l’urna sistemata al centro dell’aula (le fiducie) i parlamentari possono segnare le schede, mentre non ci sono sistemi efficaci per controllare il voto elettronico (lo sarà quello su Berlusconi). Alla camera ci sono un paio di precedenti di deputati obbligati a introdurre solo un dito nella fessura che alloggia i tasti del voto elettronico, in modo da mostrare ai vicini di banco la fedeltà alle indicazioni di gruppo, ma i franchi tiratori ci furono lo stesso.

Dunque per rendere palese il voto su Berlusconi bisognerebbe cambiare il regolamento. Ma per cambiare il regolamento ci vuole tempo. Per tutta la scorsa legislatura se n’è discusso, ma non si è concluso niente. Il nuovo senato si è aperto con l’intenzione di riprovarci, ma la giunta per il regolamento è alle primissime battute (ha nominato tre relatori) e le proposte sono tante. Nessuna riguarda l’abolizione del voto segreto, che fino a ieri andava bene a tutti. Anche ai 5 Stelle, che infatti hanno solo annunciato (per dopodomani) una proposta di modifica. Per cambiare il regolamento serve però la maggioranza assoluta dei senatori. In teoria Pd, Lega e 5 Stelle ci arrivano, ma senza un margine ampio di sicurezza. E anche le votazioni che riguardano il regolamento, se lo chiedono venti senatori, sono tutte segrete. Dunque il problema si può solo trasferire dalla conta su Berlusconi a quella sulle regole. Il Pdl è naturalmente contrarissimo a modifiche in corsa, tanto più ad personam. Sulla carta parte in schiacciante minoranza rispetto alla decadenza del Cavaliere. E insistendo per il voto segreto rivela di fare affidamento su quei senatori disposti a non seguire le indicazioni dei gruppi. La questione, dunque, non è tutta e solo politica, ma anche assai pratica: il «tradimento» dell’alleanza da parte del Pd sarebbe presto dimenticato nel caso di un caloroso rovesciamento del pronostico. Che non impossibile, visto che alla fine si voterà col voto segreto. Lo conferma anche il presidente del senato Grasso: «Il regolamento non prevede il voto palese». Anche se poi un po’ corregge: «Se le forze politiche troveranno l’accordo per cambiare il regolamento non sarò io a oppormi». Ma è difficile. Per i partiti, innanzitutto per il Pd, si tratterebbe di una clamorosa dichiarazione di sfiducia nei propri senatori.