Gli è stata fatale l’ultima di tante battaglie. Molte le aveva condotte e vinte avendo le spalle coperte dalla Francia, altre Idriss Déby Itno le ha combattute al fianco e per conto di Parigi. Che perde con lui un bastione di fedeltà irripetibile in una regione ad alto tasso strategico.

Era così nel 1990, quando i servizi di Mitterand oliarono il golpe guidato da un giovane ufficiale contro Hissene Habré. Lo è a maggior ragione oggi che N’Djamena è il cuore pulsante della missione militare Barkhane, Déby è ancora al suo posto e il Ciad è un caposaldo dell’idea di ridistribuire rischi e costi della guerra al jihadismo nel Sahel cara a Macron: prima a livello regionale con il G5 Sahel e poi a livello europeo con l’incipiente missione Takuba, che coinvolge attivamente anche l’Italia.

Déby, il «gendarme dell’Africa centrale», non se ne è persa una: nella seconda guerra del Congo era con Kabila padre contro Ruanda e Uganda; nella vicina Repubblica centrafricana spingeva nel 2003 il golpe del generale François Bozizé, a cui dieci anni dopo girerà le spalle mentre i ribelli Seleka e una certa quantità di mercenari ciadiani si prendevano Bangui.

Il Ciad partecipa sia alla Forza multinazionale congiunta (Mnjtf) con Niger, Nigeria, Benin e Camerun in funzione anti Boko Haram, sia alla forza G5 Sahel che dopo la guerra nel nord del Mali ha rafforzato un’alleanza a prova di bomba. Rilanciata in febbraio con l’invio di altri 1.200 uomini nella cosiddetta zona “dei tre confini” fra Mali, Niger e Burkina Faso.

Scanditi da eclatanti sparizioni di oppositori politici su cui la Francia al massimo ha chiesto a mezza bocca di far luce, quelli di Déby sono stati trent’anni di potere assoluto sul Ciad dell’oro, dell’uranio e ora anche del petrolio che una pipeline nuova di zecca conduce fino all’Atlantico. Tra accuse di brogli e boicottaggi, le urne nel 1996, nel 2001, nel 2006, nel 2011, nel 2016 e ancora in questi giorni, dopo la solita forzatura costituzionale, lo hanno riconfermato anche alla guida di quello che è considerato l’esercito più “professionale” della regione. E il più irrequieto al suo interno.

A Déby così è toccato sopravvivere a tentativi di golpe, ammutinamenti, rivolte armate, rovesci anche drammatici che senza la fraterna presenza militare francese si sarebbero tradotti in un cambio di regime. Si è sempre trovato però un modo per salvare il “soldato” Idriss, anche nel 2006 quando il progetto era di tirare giù l’aereo su cui viaggiava e nel 2008, mentre pareva spacciato con gli ultimi pretoriani al fianco e tre eserciti ribelli alle porte del palazzo presidenziale. Ma stavolta qualcosa non ha funzionato.