La formazione del governo di M5S e Lega – che non sembra più in forse mentre scriviamo – dà da discutere a tutti i talk-show e riempie le pagine dei giornali. Alla attesa dell’esordio dei temuti populisti alla guida del paese anche le istituzioni dell’Unione fanno sentire la loro minacciosa voce: che non si provino a mettere in pericolo i conti pubblici!

È così che i temi del debito pubblico e dell’euro tornano in voga. In effetti la situazione a livello globale è preoccupante. Secondo una stima di gennaio 2018, ripresa da Blommberg ed elaborata dall’Institute of International Finance, la cifra totale dei debiti planetari è aumentata ancora, arrivando a 233 trilioni di dollari, vale a dire 233mila miliardi.

Ma contrariamente allo strabismo in cui eccellono le istituzioni europee, che vedono solo il debito pubblico (eh già, che brutta parola, vuoi mettere il privato?), l’analisi mostra che l’indebitamento dei governi è pari a 63 trilioni, maggiore (ma di poco) di quello del settore finanziario (58 trilioni), e delle famiglie (44 trilioni), ed inferiore a quello delle aziende non finanziarie (68 trilioni). Per cui sul totale l’insieme del debito pubblico pesa soltanto per il 27%.

Come sottolinea l’economista Tigran Kalaydjian sul sito del Cadtm, vi è stata una forte accelerazione del processo dallo scoppio della crisi, con casi allarmanti. Le famiglie canadesi hanno abbandonato la usuale prudenza indebitandosi oltre il 100% del Pil del paese, così come in Australia un quinto di proprietari di case ha problemi di indebitamento da mutui, mentre la Cina vede un settore bancario grande il triplo della sua economia e un indebitamento aziendale che oltrepassa il 170% del PIL…

Ulteriore dato di contesto viene da una analisi di Jubilee Debt Campaign secondo la quale 31 paesi sono in una crisi debitoria – mentre nel 2017 erano 27 e nel 2015 “solo” 22. La tendenza appare chiara. Essi si caratterizzano per una larga proporzione del loro reddito devoluta per il debito estero (che può essere di natura pubblica – cioè dello Stato o privata). Fra essi troviamo ben 6 stati europei: Portogallo, Cipro, Lituania, Spagna, Irlanda, Grecia (l’Italia no), accanto a Mozambico, Venezuela, Libano, Ghana, Georgia, Congo, Chad, ecc.

Ma ad essi si aggiungono i paesi che sono a rischio di crisi del debito, in quanto presentano un indebitamento molto alto verso l’estero, con un consistente squilibrio rispetto alle capacità del paese e/o del governo di pagare. Questi sono ben 82, suddivisi fra chi ha un allarmante debito privato, pubblico, o entrambi. Argentina, USA, Egitto, Indonesia e Marcco sono fra questi ultimi; Tanzania, Kenia, Etiopia, Senegal fra chi ha lo Stato eccessivamente esposto (nessuno di questo gruppo è un paese considerato avanzato), mentre fra coloro che hanno un alto debito di privati vi sono Brasile, Colombia, Ungheria, Turchia, Regno Unito, Canada, Australia ecc.

La sommatoria di questi due fattori (la crescita del debito mondiale e il numero abnorme di paesi con squilibrio sui conti esteri) è un cocktail molto pericoloso, in quanto se gli Stati in crisi stanno già comprimendo massicciamente il benessere dei loro cittadini, decine di altri possono subire da una nuova crisi dei contraccolpi nocivi, vista l’estrema fragilità che presentano.

Come conclude Tigran Kalaydjian nel succitato articolo, “una reale fuoriuscita da questa situazione […]consiste fondamentalmente nel trasformare le economie, riducendo lo sproporzionato e sbilanciato potere delle aziende globali, eliminando il loro controllo sui media, e sulla politica, restringere le attività che le banche sono autorizzate a compiere […]In definitiva, la malattia che affligge i paesi avanzati è di una gravità senza precedenti e non può essere curata trattando i sintomi anziché la patologia sottostante”