La settimana prossima sarà cruciale per le sorti del governo di Nicolás Maduro, impegnato su due fronti: iniziare le trattative per rinegoziare il debito estero del Paese e preparare liste unificate per le elezioni municipali del 10 dicembre. Consapevole dell’importanza strategica delle due «battaglie», l’economica e la politica, il presidente ha chiamato a raccolta le forze del movimento bolivariano esigendo che «tutti i partiti del Gran polo patriottico si mettano d’accordo per unificare le candidature nei 335 municipi del paese».

L’OBIETTIVO POLITICO di Maduro è di ripetere  la netta vittoria ottenuta nelle elezioni del 15 ottobre per i governatori (18 del movimento bolivariano e 5 dell’opposizione). Nel caso che si ripeta l’affermazione bolivariana, Maduro avrebbe posto le basi per programmare lo scontro politico decisivo: quello delle elezioni presidenziali del prossimo anno.

Anche in questa tornata elettorale l’opposizione si presenta divisa. I tre maggiori partiti,Voluntad Popular, Primero Justicia e Acción Democratica hanno rifiutato di partecipare, perché ritengono che il Consiglio elettorale (che ha inscritto più di 5000 candidati) sia «un braccio politico» del governo. Le forze d’opposizione – che contano su un massicicio appoggio nei media nazionali e internazionali e nelle reti sociali – però non resteranno a guardare e hanno già programmato azioni di protesta contro il Consiglio elettorale.

Inoltre, nello scorso fine settima è scoppiato il caso di Freddy Guevara, vicepresidente dell’Assemblea nazionale e lader del movimento Voluntad Popular, che si è rifugiato nell’ambasciata cilena di Caracas per evitare l’arresto per «istigazione a delinquere», come responsabile delle violente guarimbas della scorsa primavera. Il Tribunale supremo di Giustizia ha infatti accolto la richiesta avanzata dall’Assemblea nazionale costituente di togliere l’immunità parlamentare a Guevara. Il governo cileno ha annunciato che accetterà la richiesta di asilo politico del leader dell’opposizione. Così un nuovo caso internazionale è pronto per avvelenare le elezioni municipali.

ANCOR PIÙ DURA si presenta la «battaglia economica», ingaggiata soprattutto contro gli Stati Uniti. Lo scorso agosto,infatti, il presidente Trump ha varato una serie di misure con lo scopo di affondare l’economia venezuelana, in crisi sia per i lunghi mesi di guerriglia nelle strade  sia e soprattutto per il calo della produzione del greggio – scesa attorno ai 2 milioni di barili al giorno – e i bassi prezzi del petrolio. Le riserve di valuta erano crollate al livello di 10 miliardi dollari e il governo bolivariano era in disperata ricerca di liquidità. Per questo il presidente magnate degli Usa ha posto il divieto all’acquisto di debito estero o di bond venezuelani.
Gli effetti non si sono fatti attendere e giovedì 2 novembre Maduro ha annunciato due contromisure: da una parte il pagamento di 1169 milioni di dollari per il bond 2017 della Pdvsa (la società petrolifera nazionalizzata del Venezuela), dall’altra la ristrutturazione e il rifinanziamento dell’ingente debito estero del Paese.

NON SONO MANCATE LE REAZIONI di chi vede in questa mossa una dichiarazione implicita che il Venezuela è strategiamente in una situazione di default, visto che difficilmente potrà far fronte al pagamento di quasi 150 miliardi di dollari di debito estero. «Vinceremo anche questa battaglia» ha tuonato però Maduro, riferendosi soprattutto alle sanzioni Usa. E per dimostrare che è pronto alla guerra ha nominato Tarek El Aisammi come capo del comitato presidenziale incaricato di negoziare la ristrutturazione, nonostante il vice presidente sia nella lista delle personalità venezuelane sotto  sanzioni degli Stati Uniti (per supposti legami col narcotraffico).
Lunedì sono convocati a Caracas i rappresentanti degli investitori che detengono il debito estero per «individuare i meccanismi» volti a rinegoziarlo. È però difficile che rappresentanti americani accettino di negoziare con chi è nella lista nera di Trump. Dunque, secondo gli esperti, toccherà a Cina e Russia aiutare l’alleato.

«SEMPLICEMENTE Cina e Russia non possono lasciare che il Venezuela fallisca», sostiene Tomas Onley esperto del Facts Global Energy, visto che i due paesi avrebbero già prestato a Caracas 60 miliardi di dollari per future forniture. E Putin sembra voler utilizzare la potente compagnia petrolifera Rosneft – già intervenuta con prestiti per sostenere la Pdvsa –  come strumento della sua politica estera in America latina.