Siamo diventati il nono paese del G8 – cioè tecnicamente saremmo fuori dai Grandi – e il nostro debito pubblico aumenta, secondo per enormità solo a quello della Grecia. Sull’economia italiana continuano a piovere notizie infauste, ma nonostante tutto il governo continua a ripetere che la ripresa arriverà: già a fine anno, e soprattutto nel 2014. Tanto da bollare come «precipitoso» lo sciopero proclamato dai sindacati, ma senza riuscire a scansare le critiche che vengono – ancora ieri, per bocca stavolta del Centro studi della Confindustria – dal mondo delle imprese.

A superarci tra i grandi quest’anno sarà la Russia, che consoliderà un Pil più alto del nostro: ci avevano già fatto scendere di posizione la Cina (nel 2000) e il Brasile (nel 2010), E secondo le proiezioni precipiteremo ancora, tanto da trovarci all’undicesimo posto entro il 2018: perché Canada e India incombono, destinate a conquistare il nono e decimo posto, mentre Spagna e Corea del Sud ci stanno alle calcagna, e potrebbero anche soffiarci il gradino 11, e sbatterci così al numero 12, o chissà anche al 13.

Insomma, una vera débacle, per dirla alla francese (anche perché sarebbe da ricordare il fatto che il primo meeting dei Grandi, allora 6 – e noi eravamo sesti – si tenne a Rambouillet, in Francia, ormai 38 anni fa (era il 1975): ospite d’onore il presidente francese Valéry Giscard d’Estaing. Ma sono glorie d’altri tempi.

E oggi, cosa abbiamo da vantare? Beh, un quasi-primato ci sarebbe, seppur negativo: abbiamo un debito pubblico enorme e debordante, salito nel secondo trimestre del 2013 (dati Eurostat diffusi ieri) al 133,3%. Un vero e proprio boom, ben tre punti in più rispetto soltanto al primo trimestre di quest’anno, quando eravamo a quota 130,3%.

Il nostro resta, come detto, in percentuale il secondo debito pubblico Ue più alto dopo la Grecia, che è al 169,1%. Ha anche avuto uno dei maggiori incrementi tra il primo e il secondo trimestre di quest’anno. Nello stesso periodo dello scorso anno l’ammontare del debito era di 1.982.898 milioni di euro, pari al 125,6% del Pil; nel primo trimestre di quest’anno era di 2.035.833 milioni, al 130,3%, mentre nel secondo trimestre è arrivato a 2.076.182 milioni, ovvero al 133,3%. Dopo Grecia e Italia, gli altri debiti pubblici più grandi dell’Eurozona calcolati in percentuale di Pil sono quelli di Portogallo (131,3%) e Irlanda (125,7%).

Ieri comunque la Confindustria è tornata a «infierire» sulla legge di stabilità, senza rispettare il «lutto» per queste notizie così tristi: anzi, forse proprio per dare le sue ricette verso una via di uscita. Seppure non sia e non possa essere una legge di stabilità, da sola, a varare riforme strutturali per rilanciare il nostro Paese, è anche vero che l’attuale non ci prova proprio, stanziando micro-risorse per il taglio del cuneo e non risollevando per nulla la condizione delle fasce povere della società (se non con qualche stanziamento «pietoso» sulla social card berlusconiana, tutt’oggi viva e vegeta e del tutto inadeguata). «La Legge contiene alcuni elementi positivi – dice il Centro studi di Confindustria commentando la manovra – ma manca della stazza necessaria a dar vigore al recupero della produzione e della domanda interna; queste hanno cominciato a salire, partendo da livelli bassissimi».

Il problema, come aveva rilevato lo stesso presidente della Confindustria Giorgio Squinzi due giorni fa (auspicando che il governo Letta possa durare oltre il 2015) resta quello della «stabilità» e della «fibrillazione dei partiti, fonte di fragilità».Ma si vede una luce in fondo al tunnel, i segnali «della ripresa nel semestre in corso» e una «accelerazione in autunno». Segnali incoraggianti vengono dalla ripresa dell’industria (produzione +0,4% a settembre, rispetto al -0,3% di agosto; e fatturati +0,8% in agosto rispetto a luglio), mentre il mercato del lavoro «si è stabilizzato».