Per Etienne, giovane che vive con la madre vedova e la sorella, quello che inizia non sarà un giorno qualsiasi. Il suo migliore amico Adnan ha deciso di portare lui e altri due sodali, Jean-Paul e Dankoura, in un bordello per iniziarli al sesso. Siamo a Batroun, città costiera nel Nord del Libano, e attorno a questo pre-testo George Peter Barbari, cineasta ventinovenne argentino-libanese, nato in California e cresciuto proprio a Batroun, costruisce la sua opera prima Death of a Virgin, and the Sin of Not Living (presentata in concorso al recente MedFilm Festival di Roma). Un esordio inscritto in una forma rigorosa che sceglie il piano sequenza come gesto filmico, che rivela un autore determinato nel portare avanti un’idea di cinema personale nel ritrarre uno squarcio dell’odierna gioventù libanese tra solitudini, complicità maschili, ricerca di identità, relazioni fra coetanei e all’interno di una famiglia. Etienne sfugge alle regole che lo vorrebbero inquadrare in una consolidata figura di maschio. Così come Barbari non rientra nei codici di un convenzionale sguardo realista pur disegnando un preciso ritratto sociale, affidato però a una libertà linguistica che si manifesta in ogni scena, in ogni immagine, mentre segue le (dis)avventure dei suoi protagonisti nel corso di una «giornata particolare».

RICORRE, Barbari, oltre a lunghissimi e complessi piani sequenza in movimento, «flirtando» con i corpi nelle stanze di casa, per le strade, mentre camminano a piedi o stanno su un bus, alla voce off come espediente per far conoscere i personaggi che in tal modo «si presentano», dicono cose di sé e, al tempo stesso, immaginano il loro futuro, anche quando, come e a che età moriranno. Death of a Virgin, and the Sin of Not Living è un film fortemente esistenzialista, che traduce certezze (degli amici di Etienne, che non si pongono troppi problemi su come vivere, immersi nel materialismo e nella goliardia) e disagi (di un protagonista delicato e sensibile, per nulla a suo agio nell’affrontare quella situazione inattesa) nell’uso del piano sequenza, di una macchina da presa in vertiginoso movimento che crea una diffusa instabilità e ampie coreografie, per una danza delle immagini, con la flagranza di un musical, come ampie, estenuanti, sono le parole, i dialoghi, le battute che i quattro si rimbalzano. Intanto, la consumazione della «prima volta» viene sapientemente rimandata, le prostitute sono in ritardo e gli amici devono trovare espedienti per colmare l’attesa.

TUTTO CAMBIA con la scena tra la ragazza (che esprime il suo malessere a vendersi a dei clienti così giovani) e Etienne. Lo sguardo di Barbari muta. La lentezza si sostituisce al movimento, la riflessione all’erranza. I sofisticati piani sequenza erano dunque serviti a preparare il disorientamento interiore, a eccedere per poi ritrarsi, mostrando così due lati identici di un disagio, il muoversi sfrenato e la stasi, le voci in diretta e quelle fuori campo. L’esperienza con la prostituta e il mesto ritorno a casa confermano la dolce fragilità di un ragazzo in cerca di un posto nel mondo. E, pur se limitato, in questo film in prevalenza abitato da uomini, emerge il personaggio della ragazza, con i suoi tremori, singulti, inadeguatezze. Sentimenti che lei e Etienne, con dolcezza, riescono infine a manifestare, a manifestarsi, a rendere tangibili durante un incontro, breve e intenso, che li isola da quanto accade oltre quella porta e li fa sentire vicini. Due estranei in realtà molto più prossimi di coloro con i quali di solito si trovano costretti a sopportare comportamenti e imposizioni.