Valerio De Stefano, docente di diritto del lavoro all’università di Lovanio, tra i maggiori esperti di «Gig economy» in Europa, commenta le motivazioni della sentenza del tribunale di Torino che, l’11 aprile scorso, ha negato a sei ciclo-fattorini di Foodora il riconoscimento dello status di “lavoratori subordinati”.

“Tale riconoscimento, nel nostro sistema, è l’unico modo per avere accesso ai diritti dei subordinati – afferma De Stefano – C’è sempre da passare da qui se si vuole la tutela lavoristica. Visto che è stata fatta una causa individuale, era un percorso obbligato. Viene però da pensare che, siccome i lavoratori ritenevano di essere stati sloggati dalla piattaforma come forma di ritorsione contro le proteste, se si fossero rivolti ai sindacati nazionali si sarebbe potuta tentare la causa per repressione della condotta anti-sindacale che può essere azionata solo da certi sindacati. Anche li ci sarebbe stato il problema che non è chiaro se questa azione possa essere presentata per quanto riguarda i lavoratori autonomi, ma se il tribunale avesse riconosciuto che la condotta antisindacale riguarda solo i subordinati e non gli “autonomi” vulnerabili di Foodora si sarebbe potuto tentare la carta della Corte Costituzionale per estendere espressamente queste protezioni sindacali anche ai lavoratori autonomi.

E invece?

Si è seguito un approccio individuale alla causa e, da questo punto di vista, il giudice ha deciso di applicare in maniera molto restrittiva i criteri sulla qualificazione del rapporto di lavoro subordinato.

Perché restrittiva?

Il giudice ha dato una rilevanza assolutamente sproporzionata al fatto che i lavoratori possano, in teoria, decidere i propri tempi di lavoro e decidere liberamente quando lavorare. E tuttavia questo criterio della continuità – essere sempre a disposizione del datore di lavoro – non è il criterio principale con il quale si decide chi è un lavoratore subordinato e chi non lo è. L’elemento principale è l’esercizio del potere direttivo e disciplinare sui lavoratori. Da questo punto di vista il giudice ha ritenuto che per quanto i lavoratori siano strettamente monitorati con la app circa il loro percorso e quanto tempo impiegano ad effettuare la consegna e vengono richiamati se sono troppo lenti, questo non è sufficiente a ritenerli lavoratori subordinati.

E’ uno degli aspetti più discutibili della motivazione…

Sì, mi sembra che la sentenza sottovaluti il tipo di potere direttivo e disciplinare che attraverso la tecnologia le piattaforme esercitano sui lavoratori.

Cosa pensa delle ragioni presentate dai giudici?
È comprensibile che la sentenza non si occupi di politica del diritto in maniera diretta, ma qui si tratta di capire se di fronte ai poteri che la tecnologia consente alle piattaforme di esercitare non sia eccessivamente riduttivo pensare che i lavoratori siano liberi di lavorare come preferiscono. Per quanto riguarda la continuità, il giudice sostiene che i lavoratori non vengano sanzionati se non rispettano i propri turni. In realtà, però, questo non è chiaro. Non abbiamo idea di come gli algoritmi siano programmati e quindi non sappiamo se, nella distribuzione successiva di altri turni e lavori, le piattaforme tengano invece conto del fatto che il lavoratore accetti le chiamate o rispetti i turni.

I difensori di foodora sostengono che i rider «non avevano l’obbligo di effettuare la prestazione lavorativa e il datore di lavoro non aveva l’obbligo di riceverla». Ma il punto non le sembra un altro: che nel periodo di effettivo svolgimento della mansione i rider svolgono un lavoro subordinato?


Il lavoro nella gig economy si basa sull’idea che si può teoricamente lavorare quando si vuole e per quanto tempo si vuole. Ed effettivamente la questione della continuità dell’essere a disposizione del datore di lavoro è un criterio che la giurisprudenza ha tradizionalmente usato. Tuttavia, non si può sottovalutare come durante i momenti di lavoro, invece, la sotto-posizione al potere direttivo della piattaforma sia assolutamente pressante e ancora una volta si tratta innanzitutto di capire se è vero che questa flessibilità sia effettiva, o se invece i lavoratori troppo flessibili vengano penalizzati dall’algoritmo. Dal punto vista della politica del diritto, il legislatore dovrebbe interrogarsi su quanto dovrebbe essere ragionevole escludere in toto dalle protezioni lavoristiche persone che nel momento stesso in cui lavorano sono soggette a poteri di organizzazione e controllo rilevanti.

Si devono cambiare le leggi?
Se il problema della continuità è insormontabile forse è il caso di riflettere sulla loro modifica. L’ironia di questa situazione è che il legislatore nel 2015 con il Jobs Act aveva pensato di allargare le tutele della subordinazione ai lavoratori cosiddetti etero-organizzati, di cui i fattorini di foodora sembravano un esempio lampante. Il giudice ha però fornito un’interpretazione assolutamente restrittiva di questa nuova norma, paradossalmente ancora più restrittiva della definizione classica del lavoratore subordinato.

Per quale motivo?

Non riesco a spiegarmi la ragione dell’interpretazione così restrittiva di una norma palesemente intenzionata ad allargare il campo di applicazione delle tutele. Questa sentenza dimostra comunque che avere categorie intermedie tra subordinazione e autonomia è un arma a doppio taglio.

Perché?

Argomenta che sia possibile per l’azienda coordinare la prestazione del lavoratore senza ricadere nella subordinazione proprio perché esiste il concetto di parasubordinazione.

Cosa significa?

Visto che il lavoratore può essere autonomo e parasubordinato, e dunque coordinato dall’azienda che può dire come e quando eseguire la prestazione, allora è possibile che i fattorini non siano considerati subordinati. E anche qui si tratta di capire se non sia il caso di rivedere nuovamente dal punto di vista legislativo quale sia il confine tra la subordinazione e l’autonomia e se abbia senso ritenere che persone che devono coordinarsi in tutto e per tutto con l’azienda per eseguire la prestazione possano essere escluse dalle protezioni lavoristiche. Abbiamo bisogno di un’idea nuova di subordinazione adattata ai tempi.

Con quali caratteristiche?

Fare innanzitutto a meno del requisito della continuità per definire chi ha accesso alle tutele.