Le acque dell’Oceano di Amor de Perdição, da cui riaffiorano le lettere di Simão dopo il tonfo dei due corpi negli abissi, sono le stesse da cui in O Velho do Restelo, «nascono» Le Lusiadi , emergendo a loro volta tra le onde? Tra i meandri di questi 18 minuti di strati sovrapposti, di doppi fondi e di fili solo apparentemente disvaganti, Oliveira orchestra un giocoso e potente «montaggio delle attrazioni» in cui si alternano in scena (o nello studiolo della sua mente come specchio magico) Don Chisciotte e Camões, Teixeira de Pascoais e Camilo Castelo Branco, citazioni da Doré e Kosintzev, oltre che dai propri stessi film. O Velho do Restelo riunisce Spagna e Portogallo come unica, strana penisola tra oceano e deserto, tra Atlantico e Sahara, «dall’incanto lunare fantasmatico», in cui si giuntano e si dissolvono in cifrato destino di disfatta e di perdizione i fantasmi di Don Sebastião e di Don Chisciotte, di Camilo il Penitente e del vegliardo sentenzioso del V Canto delle Lusiadi.

Se il mito chimerico di Don Sebastião era già stato al centro di NON a Vã Gloria de Mandar e di Quinto Império, se i versi finali del Quinto Império (da Mensagem) di Pessoa erano stati recitati da Manuela de Freitas in Lisboa Cultural, il Don Chisciotte resterà invece come uno dei grandi progetti non realizzati di Oliveira negli ultimi anni. Ora sappiamo infatti che O Velho do Restelo sarà per sempre il suo «ultimo film». L’ingresso nel puzzle della tessera rappresentata dal romanzo – biografia di Pascoais (Camilo Castelo Branco, o Penitente, 1942), permette di riannodare due fili finora apparentemente disgiunti, la vanità fantasmatica del potere (NON) e gli amori funesti di Camilo (Amor de Perdiçao, Francisca, O Dia do Desespero) e di Agustina.

Oliveira ha edificato nel tempo un’opera immensa e fantasmagorica, di film realizzati e altri solo pensati, le cui mille diramazioni richiamano ognuna tutte le altre e si alimentano dalla vita dell’albero. Don Chisciotte è scritto pochi anni dopo le Lusiadi, la Disfatta dell’Invincibile Armata precede a sua volta di pochi anni il romanzo, i versi di Camões furono davvero letti a Don Sebastião prima della sua sparizione nella guerra in Africa (come in un miraggio, da qui il suo sempre desiderato e mancato «ritorno»). O Velho do Restelo sovrappone così i versi di Camões prima alle inquadrature dell’imminente battaglia di Alcacer Khibir (riprese e spostate da NON), e poi alle immagini delle pale dei mulini che girano facendo precipitare Don Chisciotte tra le braccia di Sancho Panza (riprese dal Don Chisciotte di Kosintzev).

Alla fine la domanda del profeta di sventure, «Che vittorie?», viene ripetuta due volte. La vittoria, viene detto altrove nel film, è la più chimerica delle delle idee. È diventato Oliveira il «velho do restelo» della attuale nostra disfatta, che si affaccia con sovrana audacia non disgiunta da umorismo, sugli abissi di questo Estremo Occidente? Siamo noi – nel tramonto europeo – i «disfatti»?

Ormai i film bellissimi (tra i più belli degli ultimi due o tre anni) frutto del lavoro di ripensamento e di riscrittura operato da diversi autori con frammenti dei loro film precedenti (o anche con film interi), sono tanti, uno diverso dall’altro, e solo apparentemente «testamentali», anzi animati da un’energia che saltella e danza agilmente ora giocosa ora disperata sui dislimiti di metamorfosi cosmiche: Paulo Rocha (Se eu fosse ladrão…roubava), Bressane (Rua Aperana e O Batuque dos Astros), Cardoso (Bacanal do Diabo), Tonacci (Já visto, jamais visto), Straub (Kommunisten). Un movimento che era stato preannunciato fin dal 1988 da Pollet nel misconosciuto Contretemps, il cui titolo polisenso (musicale ma non solo) può forse riunirli tutti.

La sublime e inattuale pratica del ripensare e del riscrivere, infinita e rischiosa, era già di Cervantes quando a dieci anni di distanza dalla prima intraprese la seconda parte del Don Chisciotte (dopo l’apparizione della prosecuzione apocrifa), un libro a sua volta intessuto nella pura costruzione metaletteraria, nell’ autocitazione e nel montaggio. Oliveira non ha potuto realizzare il suo Don Chisciotte, ma O Velho do Restelo rappresenta (attraverso il vortice intertestuale con Camões, con Camilo, con Pascoais e con… Oliveira stesso!) la più sorprendente rilettura di questo romanzo dall’«ironia ineguagliabile» e suo tramite di tutta l’opera sempre più labirintica ed enigmatica del suo lettore ultracentenario, sulla cui ironia possiamo a nostra volta sicuramente scommettere.
(questo testo è stato scritto per la rivista di prossima pubblicazione FILM PARLATO, di Lorenzo Esposito, che qui si ringrazia)