Ieri mattina, davanti alle commissioni Esteri e Giustizia di Camera e Senato, l’inviato del governo Staffan De Mistura ha fatto il punto sulla vicenda Enrica Lexie, aggiornando i deputati circa le ultime novità nel braccio di ferro diplomatico che da quasi due anni vede confrontarsi Roma e Delhi.

La deposizione via videochiamata dei quattro fucilieri di Marina rientrati in Italia nel maggio del 2012, che assieme a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone componevano il Nucleo militare di protezione a bordo della petroliera italiana, completa il quadro necessario agli inquirenti della National Investigation Agency (Nia) indiana per concludere le indagini e formulare il documento dell’accusa da depositare in tribunale. Poi, e dovrebbe essere questione di «settimane», il tanto atteso processo della Corte speciale indiana potrà cominciare.
Vista la delicatezza di quest’ultimo periodo che precede l’apertura del procedimento penale, De Mistura ha sottolineato l’importanza di mostrare unità di intenti da parte delle istituzioni italiane, evitando che polemiche e lotte intestine possano indebolire l’immagine del paese davanti agli osservatori indiani.

L’elenco delle questioni che saranno affrontate a crisi conclusa è lungo e variegato. Chi ha deciso, il 19 febbraio del 2012, di far scendere dall’Enrica Lexie i due marò, facendo quindi decadere ogni speranza di percorrere la via di un arbitrato internazionale? Quali sono, nel dettaglio, le regole d’ingaggio dei marò in servizio anti-pirateria sulle navi civili? Come mai, durante i due periodi di licenza in Italia a Natale e sotto elezioni, la magistratura italiana non ha fatto valere la propria giurisdizione e arrestato Latorre e Girone, scongiurando quindi un eventuale processo in territorio straniero? Tutte domande alle quali si proverà a rispondere quando sarà fatta finalmente chiarezza sull’omicidio dei due pescatori indiani Ajesh Binki e Valentine Jelastine, freddati da colpi provenienti dall’imbarcazione battente bandiera italiana.

Sulla nazionalità dei proiettili De Mistura si attiene alle prove finora in possesso delle autorità indiane, quella perizia balistica della polizia del Kerala che fin dal maggio del 2012 indica che a sparare furono sicuramente due italiani a bordo della Lexie; che a premere il grilletto siano stati però Latorre e Girone, consegnatisi alle autorità del Kerala in circostanze ancora da chiarire – chi ha deciso che proprio loro dovevano scendere dalla petroliera quel 19 febbraio, dopo cinque giorni di trattative italo-indiane delle quali non conosciamo assolutamente nulla? – è un fatto ancora tutto da appurare.

De Mistura ha confermato che anche per la stampa indiana – in linea con le indiscrezioni pubblicate mesi fa su un documento interno della Marina italiana – i fucili incriminati non sono siglati con le matricole di Latorre e Girone, ma con quelle dei sottufficiali Andronico e Voglino, due dei quattro marò interrogati lunedì in videoconferenza. Una «nebulosità», parafrasando De Mistura, che complicherebbe il compito dell’accusa indiana in sede processuale e che al momento gioca a favore della difesa italiana. Il problema di accusare di omicidio due imputati diversi da quelli indicati dalle matricole delle armi da fuoco compatibili, ha spiegato De Mistura, è «un problema dell’India». L’obiettivo italiano rimane sempre e solo uno: concludere al più presto la crisi e far tornare in patria i due sottufficiali.