Non sono solo voci in libertà quelle che imperversano su un imminente rimpasto. Sono in molti a volerlo e nessuno più di Conte. Il premier fiuta i venti di crisi, ancora leggeri ma che rischiano di diventare impetuosi dopo il varo della legge elettorale.

Sulla carta quella riforma è al palo ma non è un caso che Zingaretti abbia ordinato al capogruppo Delrio di insistere anche se i numeri non ci sono. Se il prezzo per il proporzionale è abbassare la soglia al 3% il segretario è disposto a pagarlo, in parte proprio perché quella legge gli permetterebbe di muoversi con le mani libere in vista di probabili elezioni nella prossima primavera.

Rinnovare una compagine lacerata e divisa pare a palazzo Chigi la carta migliore per rafforzare l’esecutivo e blindarlo sino alla prossima primavera. A quel punto arrivare al semestre bianco e quindi alla primavera del 2022 sarà un gioco.

La poltrona più in bilico è quella della ministra delle Infrastrutture De Micheli, tanto più dopo il durissimo scontro frontale con il premier su Autostrade. Lo stesso Pd, con la dovuta discrezione, sembra non sia contrario alla sostituzione.

Quel ministero, già di notevole peso, sta infatti per diventare molto più centrale. Spetterà in larga parte proprio alle Infrastrutture adoperare gli enormi stanziamenti del Recovery Fund e nel Pd sono in parecchi a considerarsi più adatti a gestire quei fondi in una fase delicatissima. Si tratterebbe comunque sempre di un cambio interno al partito che già guida quel dicastero.

Il Pd mira però anche alla Giustizia, facendo leva sul ginepraio innescato dalle scarcerazioni di detenuti al 41bis, promossi tutti d’ufficio (sui giornali) a «boss», e dal caso Di Matteo. Riuscire a scalzare Bonafede, capodelegazione dei 5S però non è impresa facile.

Italia viva chiede due ministeri e guarda soprattutto all’Istruzione. La postazione della Azzolina è però difesa dal premier in persona, che l’ha voluta in quel ministero. Per il momento è intoccabile ma se il rimpasto slittasse a settembre e se la riapertura delle scuole non funzionasse a dovere forse neppure la protezione di Conte basterebbe a salvarla.

Diversa la situazione della ministra del Lavoro Catalfo. Pur proveniendo dalle file del M5S, non è molto amata dal Movimento, che non sembra disposto ad alzare barricate come nel caso del Guardasigilli.

In realtà proprio i 5S sono quelli che più frenano sull’ipotesi di rimaneggiare la squadra di governo. Non perché temano di perdere qualche posto: li spaventa l’idea di aprire una partita di quelle che, una volta iniziate, non si sa mai come andranno a finire.

I nomi in ballo sono solo i primi: a gioco iniziato la rosa dei sostituibili finirebbe per allargarsi, col rischio di moltiplicare invece che stemperare le tensioni.

L’obiettivo dei 5S e di Conte, ma non necessariamente del Pd, è lo stesso: evitare ogni rischio di crisi. Ma al contrario del premier i 5S sono convinti che il modo più sicuro per farlo sia smuovere le acque il meno possibile.