Professore Domenico De Masi, prima del voto lei ha firmato un appello per il voto alla lista La Sinistra, da ex sostenitore di M5S. È andata male. Pentito?

Io faccio il sociologo del lavoro, sono contento che siano andati a segno il decreto dignità e il reddito di cittadinanza. Ora vorrei che andasse a buon fine anche il salario minimo. E ho collaborato alla stesura di un progetto di legge sulla riduzione dell’orario di lavoro, a cui tengo molto, è la prima cosa per combattere la disoccupazione. Sapevo che molti delusi dei 5 stelle non avrebbero votato Pd. Quindi il mio era soprattutto un appello contro la scheda bianca.

Il non voto è il vero problema?

Sono cittadino onorario di Rio, da poco sono stato a trovare Lula in carcere. Lì n Brasile 27 milioni fra schede bianche e astenuti, gran parte di sinistra, hanno fatto vincere Bolsonaro e sprofondare il paese in una dittatura. Per il purismo di non votare il Pt.

Il ’purismo’ della sinistra è un problema anche italiano?

Faccio un esempio: a Roma nel 2008 molta sinistra non votò Rutelli e vinse Alemanno. Quando ci si trova davanti a un aut aut bisogna votare il meno peggio. Io non voterei mai Renzi. Ma se ci fosse un ballottaggio fra Renzi e Salvini non avrei il minimo dubbio: voterei Renzi. Ripeto, attenti che arriva Bolsonaro.

In Italia stiamo arrivando a quell’aut aut?

Ci siamo già. Se non si va al voto Salvini ha talmente il pallino in mano che farà solo le sue leggi. Se invece si va al voto la destra vincerà. Quindi Salvini sarà o un primo ministro ombra o un primo ministro vero. Una prospettiva di destra-destra, insomma, di fronte a cui si apre uno scenario di resistenza, non più di una competizione democratica.

I 5 stelle sono in crisi nera.

Avevo previsto dall’inizio, proprio sul manifesto, che l’alleanza fra M5S e Lega si sarebbe risolta nel trionfo della Lega. Il fatto che Salvini voglia mandare avanti il governo significa che vuole ancora spolpare l’osso. È il leone che si mangia a poco a poco la gazzella. Lui sa che se andasse al voto vincerebbe, ma con Berlusconi. Invece vuole vincere da solo. Sa che nei 5 stelle c’è un 20 per cento disposto a passare con lui. I problemi della gazzella sono parecchi: carenza di classe dirigente, necessità di puntare tutto su Di Maio quando lui stesso dovrebbe rinunciare a qualche delega. Ne ha troppe. Ma non lo fa perché sa di essere a corto di personale politico.

Il Pd dice di essere il ’pilastro’ dell’alternativa al governo.

La sinistra è in una situazione drammatica. Ha di fronte una destra rampante che quando andrà al potere lo eserciterà in modo brutale. E non possiamo dire ’non sapevamo’: che altro deve fare uno che va in tv in divisa militare per dire cosa farà se andrà da solo al potere? Ma ve lo immaginate Napolitano ministro degli interni vestito da militare? È chiaro che sono tappe di avvicinamento all’autoritarismo. Nel Pd c’è un’anima neoliberista rappresentata, in modo raffinato e colto da Enrico Letta, in modo industriale da Calenda, in modo politico da Renzi. Calenda e Renzi possono fare un partito di centro, che farebbe uscire dall’equivoco Zingaretti, farebbe rientrare quelli che se ne sono andati perché non sopportavano Renzi. E poi sarebbe un futuro alleato del Pd. Non c’è nulla di male ad essere neoliberisti. Basta non alimentare equivoci e non stare in un partito che dovrebbe essere socialdemocratico. Comunque per fare tutto questo ci vogliono otto anni.

Otto anni?

Il tempo fra la fine di questo governo e un governo di destra.

Il Pd però un passo avanti lo ha fatto. In molti lo hanno votato per fermare l’onda nera.

Ma altrettanti non lo hanno votato perché ancora la sterzata a sinistra di Zingaretti non è arrivata. È vero, un primo passo lo ha fatto. Ma finché non si libera del blocco neoliberista non può essere un partito davvero socialdemocratico. Marattin, per dire, è un economista colto e intelligente, ma non è socialdemocratico.

Torniamo all’M5S al bivio.

Non hanno un modello politico, neanche una cultura politica. Stimo Di Maio ma deve maturare e non ha una base teorica e quindi dice le fesserie di Casaleggio. Solo che dette da Casaleggio padre avevano una loro fosforescenza, dette da Casaleggio figlio non hanno senso: lui è niente più che un manager milanese. I 5 stelle sono inguaiati: se restano al governo finiranno di essere spolpati. Dovrebbero trovare la scusa buona per rompere. Ma non lo faranno: perché quando uno va al potere non lo molla. E perché molti stanno al secondo mandato.

Si sono intrappolati da soli?

Si sono infilati in un vicolo cieco. Dal quale usciranno solo quando saranno ridotti alla disperazione e diventati un partito minoritario. E non avranno scampo: dovranno allearsi con il Pd. Sempreché il Pd sia disponibile. Ma su questo sono ottimista: sia il Pd che i 5 stelle sono diversi da un anno fa. Un ano fa nei 5 stelle c’era un 45 per cento di sinistra e nel Pd c’era una maggioranza di renziani. Oggi nei 5 stelle sono rimasti soprattutto quelli di sinistra, e nel Pd ha vinto l’ala di Zingaretti. Gli elementi di dialogo sono più di prima.