«Si può dire in breve che la casa del racconto abbia non una finestra soltanto, ma un milione di finestre – un numero quasi incalcolabile di possibili finestre, ognuna delle quali, sulla sua vasta facciata, è stata aperta o può essere aperta, per necessità e stimolo di una visione o una volontà individuali. A ogni finestra sta un individuo. Lui e i suoi vicini osservano lo stesso spettacolo, ma l’uno vede di più dove l’altro vede di meno, l’uno vede nero là dove l’altro vede bianco, uno vede grande mentre l’altro vede piccolo, l’uno vede brutto e l’altro vede bello». Così Henry James, nella Prefazione al Ritratto di signora. E la riflessione degli scrittori – accanto a James possiamo mettere Edward M. Forster, con Aspetti del romanzo (1927), o Virginia Woolf, con Fasi della narrativa (1929) – è stata fondamentale per gli studiosi di narratologia, per la costituzione del loro campo teorico e per l’assetto delle loro analisi.
Una volta superati gli antichi pregiudizi, anche negli studi classici la narratologia è in pieno sviluppo con esiti di grande rilievo. Tra i più autorevoli specialisti è Irene J.F. de Jong, che insegna Greco antico all’Università di Amsterdam e ha studiato, in una prospettiva narratologica, l’Iliade (1987), l’Odissea (2001), il teatro di Euripide (1991). Il suo ultimo libro, Narratology and Classics. A Practical Guide (Oxford University Press, 2014), esce ora in italiano – I classici e la narratologia Guida alla lettura degli autori greci e latini (Carocci «Studi Superiori», pp. 238, € 25,00) – nella traduzione precisa ed elegante di Andrea Cucchiarelli, provetto latinista, autore, tra l’altro, di un ricco, prezioso commento alle Bucoliche virgiliane, sempre da Carocci. Il libro, che vuole essere un’introduzione generale alle analisi narratologiche di testi delle letterature greca e latina, si rivolge sia ai classicisti, sia ai non classicisti. E, naturalmente, anche a chi ama ogni tipo di narrazione, ed è curioso di conoscere meglio le modalità e le strategie con cui viene costruita.
Teorica la prima parte
I capitoli della prima parte, più teorica, sono dedicati al narratore, alla «focalizzazione», al tempo, allo spazio. Il narratore è un concetto di primaria importanza, perché corregge la diffusa tendenza a interpretare i testi in termini esclusivamente «di biografia». Un ruolo importante è quello del «narratore nascosto» – così il narratore omerico, che, privo com’è di caratterizzazione individuale, è come invisibile – e quello del «narratore secondario», che si manifesta, nei suoi esiti estremi, spessissimo nelle Metamorfosi ovidiane, come «racconto nel racconto». La prospettiva sugli eventi che il narratore racconta è definita «focalizzazione» (focalization). Nel caso di narrazione interna, è consuetudine «distinguere tra focalizzazione dell’esperiente (experiencing focalization), dove il narratore racconta i fatti esattamente come egli li ha visti e compresi (o non compresi) nel momento in cui li ha sperimentati, e focalizzazione del narrante (narrating focalization), intendendo la comprensione dei fatti che egli ha raggiunto al momento del racconto». Significativa, per il passaggio dal primo al secondo livello, la tormentata coscienza di Enea. Per l’ordine del racconto – il tempo – sono importanti le procedure di «inizio» e di «conclusione» (closure), e anche l’anticipazione o il flashback. Lo spazio è stato a lungo sottovalutato dagli studiosi, ma è ormai riconosciuto che può assumere una funzione caratterizzante e psicologica, come in Longo Sofista, e anche tematica, come nella descrizione di opere d’arte (ekphrasis): famosa quella dello scudo d’Achille (Iliade, 18).
Chiarezza ed esempi ben scelti
È notevole la capacità di de Jong di presentare con chiarezza, e con esempi ben scelti, le categorie principali della narratologia. Il suo argomentare, che recepisce e discute le teorizzazioni più agguerrite, in primis quelle di Gérard Genette, così amante dei neologismi e delle distinzioni, mira essenzialmente all’analisi letteraria: «I concetti teorici non devono esaurirsi in sé stessi, né devono essere pedantescamente ridiscussi all’infinito, ma vanno applicati ai testi». E proprio all’interpretazione di singoli testi – tre grandi scene di Virgilio, di Erodoto, di Euripide – è dedicata la seconda parte del volume.
Per Virgilio de Jong sceglie le pagine famose della caduta di Troia, nel libro II dell’Eneide. Enea, che rievoca con emozione le vicende di quella terribile notte, calibra il suo racconto sulle attese e sulla partecipazione di Didone, che lo sta ascoltando. Si racconta come testimone oculare, ma anche come colui, che, gradualmente e con sgomento, comprende ciò che sta accadendo. Si mescolano così due prospettive: il cavallo di legno viene interpretato dai Troiani come dono votivo per il ritorno in patria, solo la dolorosa «focalizzazione del narrante» lo conosce come un danno funesto. Con l’apparizione di Venere, Enea acquista una capacità di visione soprannaturale, «vede» le potenze divine nemiche di Troia — Nettuno, Giunone, Minerva — che distruggono la città. E il racconto esprime sempre più cupamente una sola verità: il funesto e fatale destino di Troia.
Di Erodoto de Jong analizza il caso fatale di Creso, re della Lidia (Storia, I, 34-35). Gli attanti sono tre: Creso, che si vanta di essere il più fortunato di tutti gli uomini, il figlio prediletto Ati, Adrasto, «un uomo oppresso dalla sventura» – ha ucciso involontariamente il fratello – che Creso accoglie generosamente nella sua casa. Un sogno rivela a Creso che Ati dovrà morire perché colpito da una lancia di ferro e il re tenterà invano, con mille precauzioni, di far sì che il sogno non si avveri. Quello che lui e Ati e Adrasto vedono e le loro volonterose intenzioni – sono tutte «focalizzazioni dell’esperiente» – sono destinate a infrangersi contro il volere degli dèi. In una battuta di caccia Adrasto, che ha promesso solennemente al re di proteggere Ati, lo ucciderà involontariamente con un colpo di lancia.
Potere degli dèi e del fato

Del terribile potere degli dèi e del fato ci dicono anche le Baccanti. De Jong analizza il racconto del secondo messaggero, che riferisce della spedizione di Penteo, che, come re, ha vietato il culto di Dioniso, per spiare i riti bacchici delle donne tebane (Baccanti, 1043-1152). Il messaggero vede quanto accade, all’inizio, dal punto di vista della sua «focalizzazione di esperiente»: parla di uno «straniero» che accompagna Penteo, vede le menadi come in un locus amoenus, «occupate in piacevoli lavori» e in canti. Solo più tardi comprende che lo «straniero» non è altri che Dioniso, solo più tardi comprende che le menadi minacciano la vita di Penteo. Ai riti partecipa anche Agave, la madre di Penteo, che esorta le compagne a catturare chi le sta spiando: «la sua focalizzazione è duplice, vede Penteo al contempo sia come un animale sia come un essere umano che potrebbe rivelare i riti di Dioniso». L’intera sequenza dell’uccisione di Penteo è come la perversione di un sacrificio animale, perché Agave crede davvero, nel suo stato allucinatorio, di essere una cacciatrice a cui è riuscito di catturare un animale selvaggio, e saluta Dioniso come «compagno di caccia». Il messagero, invece, immune dalla follia dionisiaca, comprende subito di quale orribile inganno Agave sia vittima, e chiama il suo trionfo «vittoria di lacrime».
Questi tre testi sono celebri e molto studiati. Ma la prospettivava narratologica dispiegata da de Jong nelle sue analisi – attraverso il variare della «focalizzazione», attraverso l’uso dei tempi verbali, come il drammatico «presente storico» che viene impiegato nei momenti decisivi – getta nuova luce sulle angosciose oscillazioni della coscienza di Enea, che ora vede e ora comprende, e, per i casi di Creso e di Penteo, sull’ironia tragica che nasce dal groviglio di ingannevoli indizi e di false interpretazioni.