Sergio De Gregorio chiede il patteggiamento e inguaia Berlusconi. Presso il tribunale di Napoli ieri si è tenuta l’udienza preliminare del processo che vede imputati il Cavaliere, l’ex direttore dell’Avanti! Valter Lavitola e l’ex senatore Idv e leader del Movimento Italiani nel mondo, accusati di corruzione per la presunta compravendita di senatori organizzata per far cadere l’ultimo governo Prodi, nome in codice Operazione libertà. Per Silvio c’erano gli avvocati Cerabona e Ghedini, che hanno presentato due eccezioni al gup Amelia Primavera: la prima chiede che sia Roma a decidere su un reato di corruzione di onorevoli; la seconda riguarda l’insindacabilità del voto dei parlamentari, art. 68 della Costituzione, per cui gli atti riguardanti De Gregorio andrebbero trasmessi alla giunta del senato. Si sono costituiti parte civile Idv e Codacons.

La corte si pronuncerà il 19 luglio, quando deciderà anche in merito alla richiesta di patteggiamento avanzata da De Gregorio, un anno e otto mesi con pena sospesa, per ammettere di avere avuto la presidenza della Commissione difesa e tre milioni di euro (uno nelle casse di Italiani nel mondo, due in nero a rate attraverso Lavitola) per passare dall’Idv a Forza Italia. Altri milioni sarebbero stati promessi a colleghi dell’Idv e del Pd avvicinarti da De Gregorio e Valterino.

A Napoli va in scena lo show down del sistema di potere disegnato dal Cavaliere, compreso tra i due campioni opposti. Da un lato l’abbottonatissimo Lavitola, che non parla, anche se ha dovuto dividere la cella «con un uomo che aveva ucciso una persona con quarantotto coltellate», si lamentava ieri con chi gli era accanto. Non parla però ha scritto una lettera all’ex premier (agli atti) in cui ha elencato i presunti favori fatti: 500mila euro per distruggere Fini, l’impegno per comprare senatori del centrosinistra a partire dal 2006, la distruzione di foto dell’ex premier con alcuni camorristi. Una lettera lunga 20 pagine datata 2011, con cui ricattare Silvio per milioni di euro. Dall’altro De Gregorio che non smette più di parlare. Risponde alle domande degli inquirenti e della stampa, fa pubblica ammenda con tanto di lettera di scuse a Romano Prodi. Tutto a favore di telecamere per fare un po’ di pubblicità al suo libro di memorie di prossima uscita, titolo Operazione libertà.

«Non devo inguaiare nessuno», dice De Gregorio. La confessione? Gliel’ha chiesta in sogno il padre defunto «altrimenti sarei stato inseguito tutta la vita come Al Capone. Lavitola avete visto cosa sta passando…». Si lascia andare ai sentimenti: passare al centrodestra è stato un tradimento degli elettori ma «avevo un rapporto con Berlusconi, l’uomo che avevo emulato e che è stato per me una delusione. Ho accettato un patto scellerato. Dal leader del mio primo amore, Forza Italia, sono stato accolto con affettuosità strumentale». Il Pdl attribuisce l’accanimento di De Gregorio alla mancata candidatura alle politiche, lui sostiene che Verdini lo voleva in lista «ma ho detto no. Non credo alla possibilità di sfuggire alla giustizia rifugiandosi in parlamento». Parola di boyscout.

Nel mezzo ci sono i testimoni arrivati in procura per raccontare, ad esempio, che Berlusconi voleva Lavitola alle scorse europee perché «si era prodigato» per l’Operazione libertà, dice Italo Bocchino. L’imprenditore Bernardo Martano, detenuto per bancarotta, riferisce quello che avrebbe detto De Gregorio sul Cavaliere: «E’ la persona più ricattabile d’Italia, lo considero la mia assicurazione, in senso che se le cose mi dovessero andare male, lui non mi può mai dire di no».

Sull’Espresso in edicola oggi ci sono poi anticipazioni del libro Operazione libertà, oggetto Berlusconi e la Cina, episodio raccontato anche ai magistrati di Napoli: Silvio avrebbe bloccato la rogatoria a Hong Kong dei pm milanesi sui fondi neri nella compravendita dei diritti tv da parte di Mediaset. In qualità di presidente della commissione Difesa, De Gregorio sostiene di aver avvertito Berlusconi, aiutandolo a impedire che gli atti potessero diventare la prova regina nel processo. Pressioni sull’ambasciatore di Pechino a Roma, contatti in Cina, fino a creare l’Associazione parlamentare di amicizia Italia-Hong Kong: «La parola d’ordine era accontentare la politica di Hong Kong per ricevere un pronunciamento positivo dell’Alta corte di giustizia contro l’iniziativa della procura di Milano». Vera o meno la storia, la rogatoria dei pm venne bloccata e ci fu persino un’istruttoria sull’attività dei magistrati milanesi.