A pensare male – vista la gran quantità antologica di dischi che fioccano sotto natale (rimasta ormai l’ultima finestra temporale per vendere qualche copia in più…) – questo VivaVoce (Caravan/SonyMusic), doppio album in cui Francesco De Gregori rivisita il suo repertorio di quarant’anni con nuovi arrangiamenti e graditi ospiti, sembrerebbe uno dei tanti cadeaux da mettere sotto l’albero.

Ma nel predisporsi all’ascolto all’iniziale resistenza (e malizia) si sostituisce una sorta di dolce (amara) consapevole nostalgia, per anni in cui la canzone d’autore era realmente tale. In cui le parole – ed è «un vizio» che De Gregori non ha mai perso, anche in recenti produzioni più indolenti e meno ispirate – avevano un peso e le musiche che le accompagnavano un senso, pieno, della melodia che le trasformavano all’istante in classici. Ma mettere mano a brani entrati nella memoria dei fan – e nel canzoniere italiano – senza far danni del tipo ’elefante in una cristalleria’ con suoni sintetici o peggio, orchestrazioni barocche, è un rischio sempre nascosto dietro l’angolo.

Il cantautore romano ne è consapevole, e mette le mani avanti: «Quando qualche anno fa – scrive nelle note del cd – ho cominciato a pensare a un disco come VivaVoce mi sono chiesto come avrebbe potuto prenderla una parte del mio pubblico. So che in molti sono affezionati a quelle che chiamiamo le ’versioni originali’ delle canzoni che amiamo (…) però, però: ho anche pensato che questo nuovo disco non sottrae nulla al passato. Non è come se, diciamo, Picasso si aggirasse di notte a casa di quelli che hanno comprato i suoi quadri e glieli ritoccasse contro la loro volontà (…) Questo disco lo dovevo a me. Ma anche al pubblico che ha il diritto, se vuole, di vedere da che parte sto andando».

E al restyling di parte del suo repertorio, fatto va detto con misura (da Alice a Generale, passando per Natale, La leva calcistica della classe ’68) c’è la band con la quale gira l’Italia nei suoi infiniti tour, con qualche ospite. Come Ligabue, che «duetta» con lui su Alice. Qualche fan se l’è presa, lui scuote le spalle e risponde: «quindici anni fa venne a trovarmi e mi abbracciò nel camerino. Improvvisamente le mie quotazioni presso amici e figli si impennarono».

E della partita è anche Nicola Piovani che arrangia gli archi su La donna cannone. Santa Lucia, sulla quale viene abbinato il riff di Com’è profondo il mare, è un commovente ricordo di Lucio Dalla. «A Lucio – ha spiegato durante l’incontro milanese di presentazione – piaceva Santa Lucia. Lavorare con lui è stato importante tanto che l’ho fatto due volte, e mi sembra terribile non poter più riprogrammare una terza uscita insieme».