«Mai e poi mai ho abusato del mio ruolo di deputato e mai ho violato la Costituzione». Alle dieci di mattina, in un aula di Montecitorio deserta, la ministra dell’agricoltura attacca la sua autodifesa grintosa, ma solitaria e finale. I banchi sono vuoti. Una manciata di deputati siede, sparsa, per l’emiciclo. In penultima fila c’è il marito, Francesco Boccia, lettiano lib che aveva provato a costruire un ponte con Renzi.

Stefano Fassina, l’ex ministro laburista delle mille con lui va a stringergli la mano. Del governo, accanto a lei, siedono il vicepresidente Alfano e il ministro Quagliariello. Non la lasciano sola. Anche perché il Nuovo centrodestra è sulla stessa sua barca, una carretta che fa acqua da tutte le parti. E poco ha a che vedere con le vicende beneventane e molto con la tenuta del governo. In quegli stessi minuti Renzi prepara il suo incontro con Berlusconi sulla legge elettorale. Potrebbe essere la bomba che fa saltare la maggioranza. Bene che vada, invece, Nunzia De Girolamo è in pole position per essere sostituita al momento del rimpasto. Il premier Enrico Letta, l’amico di Vedrò – il think net in cui hanno stretto i rapporti – non c’è. Non è un buon segno.

Ma c’è la diretta Sky, e la ministra si è presentata in mise griffata come sempre ma semplice, filo di trucco, il look più adatto a pronunciare cento volte quella parola diera «mai», in replica alle interpellanze. La prima, quella del Pd, le chiede di «chiarire» quel suo «intervento poco trasparente» nelle vicende dell’Asl di Benevento. L’altra è del suo partito, che le chiede come intenda «tutelare la sua immagine» e «lo stato di diritto nei confronti del soggetto che si è reso responsabile delle registrazioni abusive di cui è stata vittima».

La ministra combatte, minaccia querele, si commuove parlando della figlia e di sé, «la mia vita di politico, di persona e di donna è stata travolta da un linciaggio». Dice di essere vittima di una «vicenda kafkiana», «a leggere i giornali sembra che sia io ad essere sotto inchiesta ma io non sono indagata, indagato è Pisapia (Felice, l’ex direttore sanitario della Asl di Benevento che l’ha registrata in autoritari conversari su appalti, ndr)».

«L’intercettazione è abusiva», parla di un «complotto», di «manovratori occulti» che «sovvertono l’impalcatura dello stato democratico». Respinge tutte le accuse della stampa – la ministra fin qui non è stata indagata -. Rivendica la sua condotta politica, le sue richieste colorite sull’appalto del bar di famiglia erano «semplici informazioni, nessuna pressione». Si pente per i «vaffa» pronunciati – e registrati – ma rivendica il suo ruolo persino di moralizzatrice, «di aver aiutato la gente che chiedeva ad alta voce maggior assistenza sanitaria» e «mai, mai e poi mai» dice di aver agito «per interessi personali ed elettorali». Lancia accuse, «la gestione della sanità nel Sud e in Campania è sempre stata clientelare». Allude a personaggi che «complottano» contro di lei. (Clemente Mastella, a cui lei aveva dato della «merda» per sms, replica: «Un complotto? Ma non esiste»). «Lancia appelli inquietanti, «chi sa parli».

Ma non convince il Pd, che per convincersi di qualcosa ha bisogno di sciogliere il nodo del destino del governo. «Valuteremo le sue parole, e saremo esigenti. Per molto meno una sua collega, Josefa Idem, si è dimessa», le replica Andrea De Maria. «Troppe zone d’ombra» è il mantra dei dem, di Scelta civica. Sel chiede le dimissioni. I grillini non sono neanche venuti in aula per una «farsa inutile». Il M5S ha presentato una mozione di sfiducia e chiede a Boldrini la rapida calendarizzazione. E al Pd di votarla. Ma tutto dipende dal precipitare, o meno, della crisi di governo. Se l’esecutivo resisterà all’attivismo di Renzi sulla legge elettorale, la prossima settimana si parlerà di rimpasto. E la ministra, sfiduciata o no, con ogni probabilità dovrà lasciare.