Sottosegretario Peppe De Cristofaro, il ministro Fioramonti si dimette per lo scarso investimento che il governo fa nella scuola. Non giriamoci intorno: ha ragione.

Ha ragione nel denunciare la scarsità delle risorse, ma ha sbagliato a dimettersi. Ma prima una premessa: continuo a sperare che nelle prossime ore ci ripensi, che quello che il governo non ha potuto fare in questa finanziaria diventi l’obiettivo principale della verifica fra le forze di maggioranza. Che il 2020 diventi l’anno del rilancio dell’istruzione pubblica.

Le dimissioni sembrano irrevocabili. E gli danno ragione in molti. Anche le opposizioni denunciano gli scarsi fondi alla scuola.

Evito di commentare quello che dice il centrodestra, principale responsabile del disastro della scuola pubblica in questi anni. Dalla riforma Gelmini in poi, sono quelli che hanno determinato il taglio di risorse dal quale la scuola italiana non si è più ripresa. Mi interessano le riflessioni di Fioramonti che sono serie e fondate. La scuola pubblica è la più grande infrastruttura civile e democratica del paese, ma è in grande difficoltà e necessita di uno sforzo straordinario. I soldi in finanziaria sono insufficienti.

Se non vuole commentare la destra, commenti l’alleato Italia viva: sostiene che il ministro se ne stava troppo all’estero.

Fioramonti ha posto questioni politiche. Ma sottovaluta il fatto che nonostante la difficoltà e i tre decenni di disastri che abbiamo alle spalle, oggi, anche se timidamente, un’inversione di tendenza è stata messa in atto. Poco, certo, ma non nulla: il concorso con 50mila assunzioni, la stabilizzazione dei lavoratori delle pulizie, il raddoppio delle borse di studio per gli universitari, gli investimenti nell’edilizia scolastica, l’abolizione del bonus merito. E non si possono addrizzare in tre mesi trent’anni di disastri. Nel 2020 saranno trent’anni dalla Pantera, il movimento che aveva capito la direzione sbagliata in cui andava il governo della pubblica istruzione. Da lì tre decenni segnati da una serie di controriforme. Per uscirne serve una programmazione di fondo, strutturale. Un ragionamento sulle risorse, e su come collocare la scuola al centro del dibattito. Da questo punto di vista le dimissioni di Fioramonti sono un segnale forte: si è aperta una grande discussione pubblica. Ora tutto il governo se ne faccia carico.

Fioramonti è stato sottosegretario nel governo M5S-Lega, quello del decreto sui precari appeso alla crisi di governo. Non si è dimesso allora, si dimette oggi: non è un paradosso?

Forse. Ma forse sentiva quel governo più estraneo, forse oggi accusa una delusione dall’esecutivo da cui si aspettava di più.

È un paradosso anche il fatto che un ministro che si dimette in polemica con il governo venga considerato il pilastro di un gruppo o forse di un partito del premier?

È la conferma del fatto che tutto il governo dovrebbe ripensare alla vicenda e trovare una via di uscita.

C’è un’altra anomalia: il mondo della scuola non esulta affatto per la controparte che si ritira.

Questo succede in parte perché viene riconosciuto a Fioramonti di essere una persona seria e competente, cosa che nei decenni scorsi non è stato sempre scontato. Ma soprattutto da parte dei sindacati c’è la legittima volontà di salvaguardare le intese firmate, il timore che un quadro politico terremotato rimetta in discussione il percorso positivo messo in piedi fin qui. Proprio per questo dico che le ragioni per restare e continuare la battaglia ci sono ancora.

Ora nel totoministri ci sono nomi che poco hanno a che vedere con il mondo della scuola.

Ho fiducia in Conte, sono convinto che saprà affrontare la situazione nelle prossime ore. Il rischio di ricominciare da capo c’è. Ma c’è anche un’opinione pubblica più attenta. In questi anni la scuola è stata lasciata agli addetti ai lavori. Ma è assurdo: con 8 milioni di studenti, un milione di docenti, 16 di genitori, poi Ata e lavoratori, è un pilastro democratico del paese. Non è stata solo la politica ad essere assente, ma anche gli intellettuali ad essere distratti.

Queste dimissioni sono l’ennesimo segnale di un governo senza vocazione e senz’anima?

Sono senz’altro la spia di una fatica a trovare una direzione condivisa, che è il grande problema rispetto al quale servirebbe una svolta. Noi di Sinistra italiana siamo stati convintamente a favore di questo governo perché poteva diventare la risultante del meglio delle sue componenti, la cultura democratica del Pd e l’attenzione al sociale dei 5 stelle e della sinistra. Il rischio che oggi corriamo è che invece prevalgano i difetti di tutti.