«Il discorso di Draghi in Senato ha rafforzato il nostro giudizio negativo e la convinzione di votare no alla fiducia», spiega Peppe De Cristofaro, dirigente di Sinistra Italiana, sottosegretario uscente all’Università.

Per quali ragioni?

Penso ai temi di cui mi sono occupato in questo ultimo anno e mezzo. Sulla scuola ho visto un’impostazione molto aziendalista, mi aspettavo di sentire parole sulle diseguaglianze, sulla povertà educativa che la pandemia ha accentuato. Lo stesso sul mezzogiorno, si è confermata l’impressione di un governo a trazione nordista.

Ha trovato una continuità con il governo Conte 2?

Non direi, non c’è quell’attenzione totale alle diseguaglianze che c’era con Conte, c’è un silenzio di fondo su chi non ce la fa, solo un accenno al tema enorme dei licenziamenti. Nel complesso si capisce che con Draghi si chiude una felice sperimentazione, la stagione di un governo considerato troppo di sinistra per lasciargli gestire la ricostruzione e il Recovery.

Considerato da chi?

Ampi settori confindustriali e tutti i principali gruppi editoriali. In tanti anni che faccio politica non avevo mai visto una distanza così siderale tra il consenso popolare di un governo e il coro quasi unanime dei media, tutti arruolati contro l’esecutivo. Ecco, se guardo a chi oggi festeggia, agli sponsor del nuovo governo, mi è chiaro perché l’impostazione di Draghi è lontana da quella di Conte.

Questa crisi di governo ha riportato alla ribalta Leu. Che però non esiste come partito.

Per me la cosa fondamentale, se vogliamo ricostruire qualcosa a sinistra, è partire dal disagio e dello smarrimento di moltissimi elettori per la caduta di Conte e l’arrivo del governo di unità nazionale. Il primo compito è riconnettersi con questo sentimento. Se tutte le forze della sinistra parlamentare fossero salite sul carro di Draghi nessuno avrebbe potuto parlare con questo disagio che c’è. Per questo ritengo che il mio partito abbia fatto bene a dire no.

Solo Fratoianni, tra i vostri parlamentari, voterà no.

Come partito paghiamo un prezzo alto: una nuova rottura interna, il rischio dell’isolamento. Ma in questo coro di unanimismo sarebbe stato un errore gravissimo lasciare il disagio solo alla Meloni. Abbiamo fatto una scelta coraggiosa.

E ora siete fuori dall’alleanza con Pd, M5S e il resto di Leu?

Ma perché mai? Per noi l’asse resta la coalizione progressista. E ci auguriamo che ci si possa mettere al lavoro al più presto per strutturare questa alleanza nelle città che andranno al voto.

Arturo Scotto di Articolo 1 sul manifesto ha detto che un’alleanza non ha porte girevoli.

Una tesi profondamente sbagliata, come lo è la richiesta che ci arriva da Rifondazione di rompere ovunque le alleanze di centrosinistra. Serve un’alleanza larga, plurale. La destra si è divisa su Draghi, ma in tutte le città è già pronta con delle coalizioni con dentro anche Fratelli d’Italia. Sarebbe una follia utilizzare il voto sul governo come criterio di esclusione. E non parlo solo di escludere Sinistra italiana, il problema è lasciare fuori centinaia di migliaia di elettori che sono tormentati dalla nascita di un governo con Lega e Forza Italia. Perché il tema profondo è questo: non siamo davanti a un governo tecnico, a termine, ma a un governo politico con dentro la sinistra e la destra nazionalista: una cosa che non accade in nessun paese d’Europa.

La divisione su Draghi allontana ancora di più la nascita di un soggetto unico a sinistra del Pd?

Per noi resta questa la strada da fare. Ma i compagni di Articolo 1 sono in perenne attesa di quanto accadrà nel Pd, sognano una scomposizione di quel partito. Invece serve una forza autonoma di sinistra dentro l’alleanza con Pd e M5S.

Che oggi appare però solo un’utopia.

Su Draghi registriamo una differenza significativa di opinioni. Ma questo non esclude che si possa lavorare ancora insieme dentro i gruppi di Leu, con iniziative comuni, ad esempio sui temi dell’ambiente. La nostra sarà una opposizione responsabile.