La resa dei conti della commissione antimafia, alla fine, non c’è stata. E per ora non ci sarà. Anche i renziani più ultrà si sono acconciati a un percorso più ordinato nella discussione sulla «lista degli impresentabili»: anche perché non ci fa un figurone, il Pd renziano, a delegittimare l’antimafia proprio mentre è scosso da inchieste e arresti. E così mercoledì sera la presidente Rosy Bindi ha riunito il plenum e ricostruito i fatti, per lasciare agli atti che le sue iniziative sono state fatte su mandato dell’ufficio di presidenza. E che la «lista» non poteva che essere diffusa quando lo è stata, non prima. E alla fine la commissione ha accettato la versione dei fatti della presidente, spiega il senatore Peppe De Cristofaro, Sel.

Per lei la presidente ha ragione o torto?
Ha ragione. Sarebbe stato gravissimo se non avesse fatto uscire la lista solo perché è saltato fuori un nome eccellente del suo partito, De Luca. Certo, sarebbe stato meglio se la lista fosse uscita prima, ma i ritardi sono dipesi dalla difficoltà delle prefetture a trasmettere i dati.

Nel Pd c’è chi chiede di tornare a quando la verifica sui candidati la si faceva dopo il voto. È d’accordo?
No, così non servirebbe a niente. Ma va fatta con più anticipo per permettere alle persone tirate in ballo di spiegare le ragioni per cui il loro nome è nella lista. Nel caso di De Luca la ragione è che in un giudizio ha rinunciato alla prescrizione. Ma non so quante persone l’abbiano capito, visto che è stato comunicato subito prima del silenzio elettorale. Sono argomenti delicatissimi: si tratta di conciliare il diritto alla conoscenza dei cittadini con il diritto di chi si candida di poter spiegare la propria posizione, soprattutto se non c’è una sentenza di condanna. Il codice etico allarga il campo al semplice rinvio a giudizio per i reati di mafia o i reati spia.

Ma questo meccanismo non finisce per provocare un processo fuori dalle aule giudiziarie?
La presunzione di innocenza vale sempre. Ma qui parliamo di persone che si candidano e che quindi dovrebbero accettare il principio di trasparenza. Se lo fanno, spieghino perché.

Non sarebbe meglio cambiare il codice etico?
No, basta orientarsi su un’interpretazione diversa. Il codice ha avuto il merito di stabilire che quando sono in ballo reati particolarmente odiosi è giusto un approfondimento in più. Siamo in una fase di indignazione generalizzata verso una politica attraversata da scandali e corruzione. Allora delle due l’una: o si rischia che il sistema democratico salti in aria oppure la politica si deve autoriformare. Non dimentico che dopo Tangentopoli abbiamo avuto Berlusconi. Nella mia Campania c’è stata un’astensione altissima fra la gente molto alfabetizzata, che ormai vede la politica come cosa lontanissima; nei comuni dov’è più alta l’infiltrazione camorristica la percentuale dei votanti sale di parecchio. Vuol dire che c’è un ritorno forte del voto di scambio.

Bindi ha annunciato che la commissione andrà in Sardegna ad ascoltare Buzzi, uno dei principali accusati di Mafia Capitale. Non è la prima volta che la commissione ascolta indagati in piena inchiesta. Non c’è il rischio che faccia un mestiere non suo?
La commissione non può e non deve sostituirsi alla magistratura, deve svolgere il ruolo politico che le assegna la legge istitutiva, cioè vigilare e fare inchiesta sugli intrecci fra mafia e politica. Fin qui ha svolto bene il suo lavoro, tenendo distinto il terreno inquirente da quello politico. Per questo mi dispiace la delegittimazione in atto: non serve a nessuno e tantomeno alle istituzioni democratiche.

Ma non è la dimostrazione che la commissione ha dilagato?
No, la colpa è degli allucinanti attacchi partiti da settori del principale partito del governo. E da De Luca: se lui dice che la commissione ha fatto una cosa ’eversiva’, e nel suo partito ai massimi livelli nessuno obietta niente, è chiaro che lo stesso Pd diventa parte attiva di un meccanismo di delegittimazione.