Domenica scorsa, a Venezia, siamo passati in un battibaleno dalle maschere alle mascherine. Da Arlecchino al reparto malattie infettive, con il Carnevale annullato nel bel mezzo della giornata, quando – forse – sarebbe stato più opportuno farlo il giorno prima.

Fin dalla sera di sabato, dal diffondersi delle notizie dei contagi nei dintorni della città e poi nella città storica stessa, era iniziato un fuggi fuggi ordinato ma implacabile. Da quel momento città priva di turisti, prenotazioni annullate, scuole e università chiuse, studenti fuori sede spariti, noi residenti chiusi in casa.

Fra i pochissimi che ci sono in giro non si parla d’altro, e allora ecco i pro quarantena, i contro, e poi i fatalisti, a cui credo di appartenere anch’io.

QUELLI CHE SI ATTENGONO a quel detto della mamma: Tanto de calcossa gavemo da morir. Allora si esce, si va, anche se non devo far lezione, anche se gli studenti sono tornati a casa loro, sospesi lauree ed esami, e anche se il lavoro dello scrittore è di per sé una quarantena permanente e dovrei essere abituato a starmene dentro.

Invece esco, tanto, mi ripeto, io sono fatalista. Solo che poi anche il fatalista guarda la tv, legge i giornali, gira sui social, il terrore diffuso dai media ventiquattrore su ventiquattro, con la complicità della politica, e allora in vaporetto anch’io cerco di starmene fuori, che le temperature in questi giorni sono quasi primaverili e dentro le cabine il virus di sicuro circola con maggior disinvoltura, credo, e se qualcuno nei paraggi se ne starnutisce o tossisce, mi volto dall’altra parte, come se quelle particelle si potessero schivare come i paletti di uno slalom. Ma anche i vaporetti sono mezzi vuoti, i pochi in giro per la città preferiscono andare a piedi: meno contatti, meno rischi.

QUANDO ARRIVO in Piazza San Marco, poco dopo le quindici, saranno una ventina o poco più, i turisti. Mai vista la Piazza in questo modo, nel cuore di una giornata assolata e tiepida. Sullo sfondo, gli obbrobri del carnevale, il palco e i gabbiotti coi colori degli sponsor, mezzi smontati. Occupano almeno un terzo della Piazza e, forse, attenuano il vuoto trasformando il luogo in una sorta di cantiere però griffato, abbellito da ciò che gli sta intorno.

Arrivando da Castello, lungo la Riva degli Schiavoni, per la prima volta da decenni non si è costretti a fare gimcane fra le comitive, fra i gruppi che sbarcano dai ferry e dai vaporetti o dai lancioni che arrivano dal litorale o dall’isola del Tronchetto. Decine e decine al giorno, senza sosta. Stavolta invece la sosta c’è ed è totale. Non serve nemmeno farsi largo a gomitate quando si raggiunge il Ponte della Paglia, quello che dà sul Ponte dei Sospiri dove c’è sempre un ingorgo, tutti a farsi i selfie là sopra, con il ponte degli innamorati sullo sfondo e che poi era invece quello dei condannati, altro che amore.

QUANDO PASSO DI LÀ, ci sono appena un paio di coppiette, una munita di inutile mascherina. Mi verrebbe voglia di tornare indietro e di farlo su e giù più volte, questo ponte, in lungo e in largo, ché chissà quando mi ricapita. Da ieri, però, è cambiata la narrazione, «è cambiato il vento», hanno detto e scritto tv e giornali, con la solita complicità della politica, e lo hanno deciso cambiando dalla sera alla mattina la narrazione di questi giorni, e allora ecco che Venezia dovrebbe essere di nuovo riempita, turisti e studenti di nuovo in giro, dalla sera alla mattina (mentre le disdette delle prenotazioni arrivano fino a giugno), i residenti dovrebbero tornare a sgambettare allegri in giro per le calli e riempire bar e ristoranti. Perché loro hanno deciso che «è cambiato il vento». Prima fanno il danno, poi cercano di rimettere a posto le cose, come se cambiando la narrazione, cambiasse anche la realtà, si cancellassero i danni provocati dal terrore profuso dai media senza sosta, dando dell’Italia un’immagine di paese appestato. No, contrordine, non lo è, abbiamo esagerato.

Solo che usano la forma impersonale: «si è esagerato» o, i più furbi, «hanno esagerato», ché tanto qua in Italia è sempre colpa degli altri. Per i media è colpa dei politici, per i politici il contrario. Il vento è cambiato, certo, ma solo nelle redazioni di televisione e giornali, dopo giorni di vero e proprio terrore mediatico. Ed è cambiato anche fra i politici-star, quelli che fanno di tutto per essere in tv il più possibile (e solo qua in Italia si lascia voce alla politica con tale frequenza e in totale assenza di contraddittorio), quando sarebbe certamente più opportuno lasciar parlare i medici, che spesso, se intervistati, dicono il contrario.

NO, A VENEZIA il vento non è cambiato affatto. All’ora dell’aperitivo, le diciotto, la rosticceria più famosa di Venezia, la rosticceria Gislon, è sempre impraticabile. Al banco delle mozzarelle in carrozza, le più buone della città, devi fare a gomitate, ammesso si riesca ad entrare, per riuscire ad addentarne una.

In questi giorni, arrivi e addirittura riesci a sederti a uno dei pochissimi tavolini piazzati lungo le vetrine.

Stessa cosa al Caffè Rosso, il bar più frequentato di Campo Santa Margherita, luogo di ritrovo preferito dagli studenti universitari e non solo. È sempre pieno, devi sempre aspettare per trovare un posto. Ora è vuoto e la barista mi dice che sono coraggioso. Fatalista, replico io. E il Canal Grande, piatto, senza un accenno del devastante moto ondoso provocato da taxi e mezzi commerciali, migliaia di passaggi nelle giornate «normali»: sembra un lago in questi giorni. Sta aumentando anche il numero di negozi che decidono di chiudere temporaneamente, alcuni anche per un mese.

PRO E CONTRO, però da questa situazione, perché poi ti guardi intorno e pensi che è davvero uno spettacolo, che una Venezia così non si vedeva da decenni. Tocca confessarlo, se si riesce a confinare almeno per un attimo in un angolo della nostra mente il motivo di tale situazione e le sue conseguenze umane ed economiche, Venezia vista e vissuta così è fantastica. Senza le orde di turisti, puoi goderti in pieno la sua bellezza, la sua essenza, capire perché non hai nessuna voglia, alla fine, di andartene da questo posto, nonostante ci stiano provando in tutti modi a portarti all’esasperazione.
Ma dura poco. Impossibile astrarsi del tutto. Il virus c’è, è nella mente di tutti noi, nostro malgrado e anche se media e politica hanno deciso che il vento è cambiato. Narrazione contro realtà, come se l’informazione di oggi non avesse come origine proprio quella di raccontare le cose. Da narratore, rinnego questo modo di fare narrazione a vanvera, sia in un senso, sia nell’altro. Per tutto ciò, alla fine, questo articolo non potrà mai essere un resoconto dal cuore della bellezza, ma soltanto una cronaca dalla città vuota.