Ex malo bono. Dalla sconfitta sul dl Zan Enrico Letta esce più forte nel gruppo Pd del Senato, i cui membri erano stati scelti da Renzi nel 2018.  Ieri la riunione a porte chiuse, anticipata dalle dure critiche dell’ex capogruppo Andrea Marcucci che aveva definito «fallimentare» la strategia dei dem sulla legge antiomofobia.

La nuova capogruppo, Simona Malpezzi, citata da alcuni come responsabile del flop del ddl, ha aperto con una relazione in cui ha ripercorso le tappe del ddl e ha difeso la linea seguita in accordo con il Nazareno. «La destra non ha mai voluto mediare, altrimenti avrebbe tolto la “tagliola”. La mediazione avrebbe trasformato un testo contro i crimini d’odio in un testo discriminatorio».

E ancora: «La storia del ddl Zan cambia a luglio, con la scelta di Italia Viva di sfilarsi dal voto espresso alla Camera, avvicinandosi al campo del centrodestra». A fine intervento ha chiesto ai senatori di ribadirle la fiducia, e così è stato, per acclamazione.

Tra i 3-4 interventi critici Marcucci è stato il più duro: «Secondo Letta il Pd non ha sbagliato nulla, e quindi il ddl Zan non è diventato legge perché siamo stati bravi. Su questo naturalmente non sono d’accordo. L’apertura di Letta al confronto è stata tardiva. Un grande partito impara a riconoscere gli errori e le sconfitte».

Anche Valeria Fedeli ha ricordato gli «errori fatti»: «Dopo l’apertura di Letta a modifiche neanche una riunione del gruppo: siamo andati in aula al buio. Una grave sconfitta». La replica di Monica Cirinnà: «Se difendere alla morte il concetto di “identità di genere” significa essere massimalisti allora io lo sono. E chi voleva mediare ancora non mi ha spiegato come avremmo protetto le persone in transizione».

Anche Luigi Zanda ha difeso la linea del Pd: «Abbiamo condotto la battaglia in modo persino prudente, il Pd ha difeso la sua identità. L’unico appunto, semmai, è di essere stati troppo morbidi sulla concessione del voto segreto». «Sullo Zan abbiamo perso ma non ci siamo persi», ha rincarato Luciano D’Alfonso, anche lui di area cattolica.

Alessandro Alfieri, coordinatore di Base riformista, la corrente degli ex renziani, ha sostenuto la linea di Malpezzi e ha ribadito la necessità che il Pd «resti unito» per essere «all’altezza della fiducia ottenuta alle amministrative». Alla fine, per Letta è stata quasi una vittoria “fuori casa”. Mentre Marcucci, che è stato per anni il dominus del gruppo Pd in Senato, è rimasto isolato.