Per il ddl Zan oggi potrebbe essere una giornata decisiva. La legge contro l’omofobia è un’iniziativa parlamentare e in quanto tale non riguarda il governo, ma dopo l’intervento della Santa Sede che vede in alcuni articoli del testo una violazione del Concordato, la palla passa inevitabilmente a Palazzo Chigi. «È un tema importante», dice in serata Mario Draghi. «Domani (oggi, ndr) sarò tutto il giorno in parlamento, me lo chiederanno e risponderò in modo più strutturato di quanto potrei fare oggi».

Inizialmente la presenza del premier alle camere era prevista per spiegare, come accade sempre, i temi del consiglio europeo di domani e venerdì, fortemente voluto proprio da Draghi per discutere di immigrazione con i partner europei. L’intervento, del tutto inusuale, del Vaticano ha cambiato però le carte in tavola, tanto da costringere il premier a prendere la parola su uno dei temi più caldi che dividono la sua maggioranza. Un’eventuale condivisione da parte di Palazzo Chigi delle preoccupazioni espresse il 17 giugno scorso da monsignor Richard Gallagher, il diplomatico vaticano che tiene i rapporti con gli Stati, potrebbe allora segnare davvero il destino della legge.

L’INIZIATIVA VATICANA, giudicata da alcuni come un’ingerenza negli affari interni dell’Italia, ha intanto avuto l’effetto di riaccendere nel Pd le divisioni già esistenti sulla legge. Che le osservazioni fatte Oltretevere abbiano lasciato il segno lo si capisce fin dal mattino, quando Enrico Letta, parlando alla radio, pronuncia parole che vengono lette come un’apertura alla possibilità di modificare il ddl. «Noi siamo sempre stati favorevoli a norme forti contro l’omotransfobia e siamo sempre aperti al confronto», dice il segretario. «Guarderemo con il massimo spirito di apertura ai nodi giuridici, pur mantenendo da parte nostra il favore sull’impianto». Poi il segretari telefona al ministro degli Esteri Di Maio per avere maggiori delucidazioni sulla nota vaticana, ma intanto il cambio di atteggiamento non è passato inosservato. Tradotte, le parole di Letta potrebbero significare il via libera a un tavolo politico chiesto più volte dalla Lega e da Italia viva per aprire un confronto interno alla maggioranza sulla legge allo scopo di arrivare a un testo condiviso da tutti. Proposta che significherebbe anche accettare l’idea di un ritorno del ddl alla Camera, ipotesi sempre respinta oltre che da LeU, M5S e Autonomie, da sempre favorevoli alla ddl Zan, anche dal Pd. Basti ricordare che non più tardi di due mesi fa, nel corso di assemblea virtuale con i senatori dem convocata proprio per discutere del ddl contro l’omofobia, Letta aveva pregato quanto nutrivano ancora dei dubbi a non esitare più e a votare la legge, definita una «norma di civiltà».

LA NUOVA PRESA di posizione spinge ora il partito a uscire allo scoperto. «Il ddl Zan è una proposta di legge equilibrata che tutela la vita delle persone. E quando si tutela la vita delle persone si migliora un Paese intero. Il servizio Studi del Senato ha confermato ce il testo non limita in alcun modo la libertà di espressione, tanto meno quella religiosa», si legge in una nota scritta Marco Furlan, Maria Pia Pizzolante e Nicola Oddati della direzione nazionale del partito. Va giù duro anche il dem Alessandro Zan, che al testo contro l’omofobia ha dato il suo nome e che è stato il relatore della legge alla Camera, dove è stata approvata il 4 novembre 2020: «Tutte le critiche sono legittime – dice il deputato – ma è grave quando uno Stato estero contesta una legge che non è in vigore ma che è in iter».

CHI, OVVIAMENTE, non perde l’occasione per bloccare la legge è la Lega approfittando dell’opportunità offerta dal vaticano è ovviamente Matteo Salvini: «Io sono pronto a incontrare Letta anche domani per garantire diritti e punire discriminazioni e violenze, senza cedere a ideologie o censure e senza invadere il campo di famiglie e scuole», dice il leader della lega. A dir poco allarmata per l’intervento del Vaticano, definito «un attacco alla nostra Costituzione», è invece Arcigay. «Il tentativo esplicito e brutale – ha commentato il segretario Gabriele Piazzoni – è quello di sottrarre al parlamento il dibattito sulla legge e trasformare la questione in una crisi diplomatica, mettendola nelle mani del governo Draghi per far sì che tutto venga congelato».