Sono almeno tre le strade che l’opposizione alla riforma della scuola prenderà dopo che il Ddl sarà votato oggi in maniera definitiva dalla Camera. In maniera unitaria, tutti i sindacati della scuola ricorreranno alla Corte costituzionale contro i profili di incostituzionalità contenuti nella chiamata diretta dei docenti da parte dei «presidi manager» imposti da Renzi, Giannini e il partito Democratico.

La via giudiziaria non si ferma qui perché, da settembre il Miur sarà travolto da migliaia di ricorsi volti a garantire in tribunale i diritti dei docenti precari aventi diritti ma esclusi dalla maxi stabilizzazione di oltre 102 mila persone. Sarà una strada lunga, ma le sigle intendono così affrontare la situazione dei docenti di seconda fascia nelle graduatorie di istituto e dei diplomati magistrali che non sono stati inseriti nelle graduatorie ad esaurimento. La terza strada è quella del referendum abrogativo. Questa opzione presenta numerose difficoltà e insidie e i sindacati della scuola ne sono perfettamente al corrente. Innanzitutto il quesito da sottoporre agli elettori. Poi le firme da raccogliere, mentre la legge sarà entrata in vigore. Infine il quorum da raggiungere in una consultazione che potrebbe essere chiamata quando saranno passati mesi o addirittura anni dall’approvazione della legge.

Il referendum abrogativo è un’ipotesi che ricorre tra le numerose componenti del movimento della scuola (Il manifesto, 30 giugno). Ieri Pippo Civati ne ha lanciato uno dal suo blog «Ciwati». La complicata materia referendaria sarà affrontata con un solo quesito sulla «chiamata diretta». In realtà di punti incostituzionali ce ne sarebbe almeno altri sei o sette, a partire dagli albi territoriali, come qualcuno dei commentatori dello stesso blog ha fatto notare. Civati ha scelto la «chiamata diretta» perché è la «norma-bandiera» della contro-riforma Renzi-Giannini. Si vedrà in autunno dove in molti stanno meditando di presentare una gragnuola di referendum abrogativi contro le principali leggi approvate dal governo Renzi: dal Jobs Act allo Sblocca Italia. In questo pacchetto la scuola rischia di scomparire, come del resto anche le altre istanze.Quanto ai sindacati, sarà necessario perlomeno contare sulla loro partecipazione, anche per eliminare una crescente sensazione di confusione tra istanze e proposte che rischiano di sovrapporsi.

L’opposizione dei docenti – nelle piazze, sui social network – resta fortissima anche in piena estate. Ieri, la loro indignazione è esplosa in rete quando la ministra dell’Istruzione Stefania Giannini ha ritenuto opportuno caricare sul suoscarno profilo facebook il video del discorso tenuto alla Camera sulla riforma. Il profilo, che è stato aperto con l’auspicio di un confronto tardivo e infelice con il «mondo della scuola», è stato travolto nelle prime otto ore da circa 400 commenti. In pochi minuti la bacheca si è trasformata in un rodeo di insulti, invettive, accuse al partito democratico. Un altro caso disastroso di comunicazione del governo Renzi. Su tutti questo commento: «Esigua ministra nel caso avesse l’impressione che con oggi 7 luglio possa considerarsi chiusa la questione perché si sbaglia di grosso; gli insegnanti non dimenticheranno mai la violenza perpetrata da questo governicchio di non eletti sulla scuola». Giannini non ha ancora risposto a nessuno ma in compenso ha detto: «Non facciamo riforme per placare le proteste». Una frase inopportuna presa alla lettera dai docenti. Dalle 10 di oggi il presidio dei sindacati a Montecitorio.