Non si sa ancora nulla dei decreti attuativi della legge cinema approvata ieri ma alcuni nel dubbio applaudono già. Evidentemente l’aver atteso cinquant’anni una norma di sistema, organica, è sufficiente. I decreti attuativi devono invece interessarci, perché saranno questi a far funzionare il nuovo impianto.

Con l’innalzamento del fondo a 400 milioni il ministro ha ottenuto un facile consenso ma come verranno distribuiti i contributi? Nelle poche occasioni pubbliche in cui il MiBACT si è presentato ha insistito fino allo sfinimento sull’estensione del tax credit, strizzando quindi l’occhio alle imprese e rinunciando a spiegare le ragioni della scelta.
Ciò che serve ai cineasti italiani è altro: un reale sostegno in tutte le fasi della vita di un film. Se nei primi tempi i senatori Pd ripetevano di ispirarsi alla legge francese, forse la migliore in Europa, in seguito la menzogna non ha retto. Tra le proposte che hanno trovato fortuna c’è quella di costruire nuove sale (distruggendone altre considerate senza speranza). Ma abbiamo bisogno di spazi nuovi oppure di spazi da riempire di contenuti nuovi?

La nuova legge dichiara di garantire il pluralismo dell’offerta cinematografica e audiovisiva ma non propone misure efficaci per riequilibrare i rapporti di forze all’interno di un mercato che emargina quei cineasti espressione della composita area delle diversità: donne, soggetti Lgbt, migranti e seconde generazioni, persone disabili, autori che provengono da ambienti svantaggiati.

In due diversi incontri, il 6 settembre alla Mostra di Venezia e il 19 ottobre alla Festa del Cinema di Roma, l’Anac e il collettivo #peruncinemadiverso, insieme ad altre associazioni, hanno analizzato, cifre alla mano, i dati sulla produzione cinematografica 2015, ricordando come ancora oggi solo un lungometraggio italiano su dieci fra quelli usciti in sala sia diretto da una regista, solo uno su sedici da un autore straniero, naturalizzato o di seconda generazione e i dati sono ancora più sconfortanti se ci spostiamo su altri ambiti compresi nell’ombrello della diversità. Se altre cinematografie conquistano quote di mercato e premi ai festival puntando sull’incontro tra opportunità e talento e sulla sfida delle diversità, la nuova legge cinema nasce già vecchia fotografando un’Italia che non è mai esistita se non nella mente dei suoi governanti.

Non è un caso se, dopo aver detto di voler aiutare giovani, autori di opere prime e artisti capaci di raccontare l’identità nazionale, Renzi abbia preferito abbinare le sue slides alla proiezione di Inferno di Ron Howard a Firenze.

Intanto il sito LavoroCulturale.org prepara un ebook sulla riforma.