Qualche giorno fa, Jean-Claude Juncker aveva parlato di “jeans, Harley Davidson, bourbon del Kentucky”, prodotti simbolici della cultura popolare americana, da tassare alla dogana della Ue come ritorsione alle minacce di Donald Trump, che avrebbe l’intenzione di mettere dei diritti doganali al 25% sull’importazione di acciaio e al 10% su quella di alluminio. “Anche noi possiamo essere stupidi” aveva aggiunto il presidente della Commissione. Ieri, la commissaria al Commercio, la svedese Cecilia Malmström, ha cercato di “evitare l’escalation”, ma ha ricordato che la Ue ha i mezzi per reagire. La Ue non ha pubblicato nessuna lista precisa di prodotti Usa da colpire, ma ha stabilito un metodo per la reazione, nel caso Trump vada fino in fondo nella sua minaccia. Intanto, “speriamo che non riguardi la Ue”, perché in una guerra commerciale “non ci sono vincitori” (ma Trump accusa la Ue di “non aver trattato bene gli Usa” in materia commerciale).

La Ue è il secondo produttore mondiale di acciaio (dopo la Cina) e ogni anno ne esporta negli Usa per 5 miliardi di euro (1 miliardo per l’alluminio). L’impennata dei dazi minaccia “migliaia di posti di lavoro” in Europa, soprattutto in Germania, Francia e Italia, e costerebbe 2,8 miliardi di euro all’economia Ue. La prima tappa europea sarà quindi di “riequilibrare” questa perdita, per reagire in modo “proporzionale”: potrebbe colpire con un aumento delle tariffe doganali dei prodotti agricoli, come il burro di cacao o il succo d’arancia, oltre a prodotti che utilizzano acciaio (le moto). La lista europea non contiene nomi di imprese, fa solo riferimento a una nomenclatura doganale di prodotti, che dovrà venire discussa nei prossimi giorni con i paesi membri e prenderà circa tre mesi per entrare in vigore. Questa mossa è possibile nel rispetto delle regole della Wto (Organizzazione mondiale del commercio).

Una seconda mossa sarà la “salvaguardia” della produzione Ue. La Ue, difatti, teme soprattutto le conseguenze del protezionismo Usa, perché i grandi produttori, come la Cina o il Brasile, colpiti negli Usa potrebbero riversare in Europa tonnellate di acciaio a basso costo e causare un “duro choc per l’economia”, ha sottolineato Malmström. La causa del braccio di ferro sull’acciaio, ha sottolineato ieri la Commissione, è la “surcapacità mondiale di produzione”, causata da aiuti pubblici massicci (in Cina).

La Ue, assieme ad altre aree produttive colpite, si prepara a denunciare alla Wto il protezionismo Usa (una procedura che potrebbe durare fino a due anni).  Trump ha minacciato la Ue: “possono fare cosa vogliono, ma se lo fanno metteremo una tassa al 25% sulle auto e, credetemi, smetteranno presto” (oggi, i dazi Usa sulle auto Ue sono al 2,5%, ma in Europa i diritti doganali sulle automobili americane sono al 10%). In Europa c’è la memoria del ’29: la grande crisi fu seguita da una guerra commerciale, che distrusse milioni di posti di lavoro e contribui’ all’arrivo del fascismo e del nazismo al potere. Nel dopoguerra il libero scambio è diventato la regola, cosa che non impedisce misure protettive temporanee (la Ue lo ha fatto per esempio sulle auto giapponesi a basso costo o continua a farlo sui prodotti agricoli). La preoccupazione per una guerra commerciale mondiale è presa sul serio all’Fmi, Christine Lagarde ha preso contatto ieri sia con l’amministrazione Usa che con la Commissione a Bruxelles.

La Ue alza la voce, perché ricorda che nel 2002 aveva fatto retrocedere l’allora presidente George Bush jr., che aveva imposto dei dazi sull’import di acciaio del 30%. Nei fatti, c’erano state  molte eccezioni a questa tariffa, che poi era stata abbandonata un anno dopo, anche grazie alla minaccia di ritorsioni (e anche alla distruzione di migliaia di posti di lavoro nella metallurgia americana). Nel 2009, tra Usa e Ue c’era stata la fiammata dei dazi contro il Roquefort e la ritorsione sulla carne agli ormoni. Le idee semplicistiche – alzare muri per “difendersi” – quasi sempre hanno conseguenze nefaste e sono dei boomerang.