Era nell’aria da tempo, anche perché non pochi negli Stati uniti avevano ricordato a Trump le sue promesse elettorali. Ma fino ad ora si era assistito solo a minacce più o meno velate contro la Cina, vero spauracchio del presidente americano in campagna elettorale. Il suo «China! China! China!» era suonato funesto a Pechino, ma i funzionari cinesi avevano cominciato a credere di avere arginato il pericolo complice anche la crisi coreana. E invece: ieri Donald Trump e la sua amministrazione hanno proposto dazi del 30 per cento sulle importazioni di lavatrici e pannelli solari.

NEL CALDERONE è così finita anche la Corea del Sud (come vedremo ha avuto modo di lamentarsi anche il Messico) – in teoria – alleata di Washington e non proprio un’alleata qualunque. Se infatti Tokyo è data per scontata nell’arco degli amici asiatici degli Usa, Seul costituiva una carta magica nelle mani di Trump: nonostante la presidenza liberal-democratica di Moon Jae-in la Corea del Sud era pur sempre un potenziale argine alla Cina, un paese importante sia nell’eventuale acquisto di armi, sia come partner economica. Non dimentichiamo – infatti – che il primo atto di Trump in relazione all’Asia è stato affondare la Transpacific partnership, ovvero quell’accordo economico di libero scambio che avrebbe tenuto fuori proprio Pechino.

NON CONTENTO di aver sguarnito molti alleati degli argomenti che Obama era riuscito a fornire alle amministrazioni locali per motivare un «no» al motore della regione, cioè la Cina, ieri Trump per ribadire il suo motto elettorale «America first» ha annunciato importanti decisioni economiche che hanno finito per piazzare dalla stessa parte della barricata Seul e Pechino: entrambi i paesi, infatti, hanno detto che ricorreranno all’Organizzazione mondiale del commercio in risposta alle nuove misure protezionistiche.

MA LA MOSSA DI TRUMP non complica la vita a Moon solo da un punto di vista degli equilibri di regione, ma anche da un punto di vista interno, perché i dazi colpiranno per lo più i conglomerati sud-coreani, potentati economici e politici che Moon, in teoria, si apprestava a riformare. La decisione di Washington, nello specifico, stabilisce dazi del 30 per cento sulle importazioni di pannelli solari e di lavatrici. Secondo l’amministrazione Usa questa decisione potrebbe creare almeno 100mila posti di lavoro; fortemente voluta da Suniva e SolarWorld Usa, produttori di celle e moduli fotovoltaici andati in bancarotta, la decisione non sembra gradita (oltre che a Pechino) neanche all’associazione statunitense dell’industria del solare, che rappresenta un business da 28 miliardi di dollari e che importa dall’estero l’80% dei pannelli installati.

Le tariffe «creeranno una crisi in un settore dell’economia che è stato trainante», ha denunciato la Solar Energy Industries Association, a nome di produttori, installatori e di tutto l’indotto, avvertendo che a rischio ci sono 23.000 posti di lavoro.

NEGATIVE – ovviamente – le reazioni da Seul e Pechino. Il ministero del Commercio sudcoreano ha annunciato che il paese è pronto a presentare una petizione all’Organizzazione mondiale del commercio contro una misura che colpisce i produttori sudcoreani. «La decisione degli Stati uniti di imporre tariffe alle lavatrici e ai pannelli solari sudcoreani è eccessiva e costituisce una apparente violazione delle disposizioni dell’Omc», ha dichiarato il ministro del Commercio sudcoreano, Kim Hyun-chong. «Il governo Usa ha agito sulla base di considerazioni legate alla politica domestica, anziché ottemperare alle regolamentazioni internazionali».

TONI ANALOGHI arrivano da Pechino: per il ministero del Commercio di Pechino, Wang Hejun, la decisione Usa «è un abuso»; «l’adozione di misure restrittive contro i pannelli solari importati e le lavatrici – ha proseguito – non è solo di detrimento a uno sviluppo salutare delle industrie negli Stati uniti, ma peggiorerà anche la situazione commerciale a livello globale». La Cina, promette il funzionario del ministero del Commercio di Pechino, «lavorerà con i membri dell’Organizzazione mondiale del commercio, per difendere con risolutezza i propri interessi legittimi, in risposta a un’erronea decisione degli Stati uniti».
ANCHE IL MESSICO si è lamentato, perché secondo l’istituto statistico Usa nel 2017 gli Stati uniti hanno importato dal Messico lavatrici domestiche per un valore di 278 milioni di dollari e pannelli solari per 127 milioni.