Il suo stile è un ponte, vero e non tanto per giustificare un crossover appicicaticcio, fra culture. Quella della tradizione jazz e soul americana che si fonde con i ritmi e i colori di Cuba. Daymé Arocena, ventiquattrenne dal look bianco immacolato, ha introiettato nella sua voce diversi possibili scenari. Suona semi-professionalmente da quando aveva 8 anni, anche perché nella sua famiglia a Cuba la musica è di casa.

La nonna «canta meglio di me e quando beve un drink – spiega Daymé – sembra quasi una matta», il padre l’ha cresciuta sulle note jazzy di Breezin di George Benson. E poi i primi concorsi, l’ingresso in una big band a 14 anni e la necessità di scoprire le voci delle grandi star: Ella Fitzgerald, Sarah Vaughan, Billie Holiday. All’inizio non trova siano nelle sue corde, sente più il soul jazz di Erykah Badu e Gill Scott-Heron, «ma poi ho cominciato ad amarle, la voce di Billie e lo scat incredibile di Ella».

Lo scorso anno ha fatto il suo esordio discografico con Nuova Era (Broownswood Recordings, distr. Audioglobe), un progetto curato da lei stessa – autrice di buona parte dei brani, quasi tutti costruiti intorno a una linea ben delineata di basso e su ritmi sincopati, un vero incontro fra scuola cubana e stilemi tipici del jazz. La voce è prepotente e matura, sussurro e scat con il pianoforte a contrappuntarne le nuance. Ma è l’imprevedibilità la chiave delle sue composizioni, sappiamo come inizia; soffusa quasi introspettiva, ma non sappiamo dove ci porterà. Don’t Unplug My body ne è un esempio calzante avvio oscuro e poi l’esplosivo ritornello in chiave nu soul.

Il 6 maggio pubblica un nuovo lavoro, un ep con 5 pezzi One takes, frutto di sessions in studio fra la cantante e il boss della sua etichetta, Gilles Peterson. Tutte registrate live per mettere in risalto voce e potenzialità interpretative, come Stuck di Peven Everett, e Gods of Yoruba di Horace Silver.

Non perdetevi le due date italiane, Dayme sarà domani al Monk di Roma e il 15 aprile al Biko Club di Milano, dove si esibirà con una band dove spicca la presenza del pianista inglese Robert Mitchell e il batterista Crispin Robinson.