Per la prima volta dall’inizio della campagna anti-Pkk, al via tre mesi fa, il premier turco in pectore Ahmet Davutoglu ha confermato che l’esercito ha attaccato i combattenti kurdi delle Unità di protezione maschili e femminili (Ypg/Ypj) nel Kurdistan siriano (Rojava). L’attacco è avvenuto nella città di Tel Abyad la scorsa domenica. Questa piccola cittadina di confine è stata liberata dai jihadisti di Isis grazie all’impegno dei combattenti kurdi lo scorso giugno. Da quel momento il corridoio che unisce Kobane e Tel Abyad ha dato continuità territoriale a Rojava accrescendo le preoccupazioni turche di un rafforzamento della guerriglia kurda e delle richieste di indipendenza del Partito democratico unito (Pyd).

In precedenza l’esercito turco aveva attaccato il villaggio di Zormikhar, non solo Ankara avrebbe inviato vere e proprie brigate a sostegno dei jihadisti in Siria attraverso il confine meridionale, insieme ad armi e approvvigionamenti. Molti dei raid russi in Siria hanno sorvolato Rojava, tanto che Ankara ha denunciato ripetute violazioni del territorio turco e l’abbattimento di un drone russo.

Davutoglu ha rincarato la dose: «Non permetteremo ai Ypg di andare a ovest dell’Eufrate». I combattenti kurdi hanno in cantiere la liberazione del terzo cantone kurdo, quello di Efrine. Ma proprio qui insiste la zona di sicurezza imposta dalla Turchia dopo aver concesso le sue basi alla coalizione internazionale anti-Isis per bloccare l’afflusso di profughi e impedire ai combattenti kurdi di avanzare verso il confine occidentale. Qui è stato anche costruito un muro in fase di ultimazione. Il presidente Erdogan sta giocando la sua campagna elettorale in vista del voto anticipato del prossimo primo novembre soprattutto sulle spalle dei migranti. Se continuano gli sbarchi sulle isole greche di profughi che partono dalle coste turche, nonostante attentati e la guerra anti-Pkk, l’Unione europea ha dichiarato il paese «sicuro» e quindi le centinaia di migliaia di siriani presenti sul territorio e fin qui mai registrati potranno essere detenuti negli hotspot stabiliti nel paese oppure restare bloccati in Turchia, come in una sorta di prigione a cielo aperto.

La polizia ha iniziato anche ad attaccare alcune cellule jihadiste presenti in territorio turco dopo il grave attentato di Ankara, costato la vita a oltre cento persone lo scorso 10 ottobre. Gli attacchi sono avvenuti a Konya e Cumra. Sono arrivati il giorno dopo una dura sparatoria che ha avuto luogo a Diyarbakir. Due poliziotti sono stati uccisi, cinque feriti, insieme a sette jihadisti, dodici sono stati arrestati. Dalle prime indagini della polizia appare quasi certa la responsabilità di Isis negli attacchi di Ankara (così come avvenne a Suruç e Diyarbakir), insieme ad alcune componenti deviate di polizia e Servizi, i cui vertici sono stati sospesi mentre procedono le indagini. Gli scontri a Diyarbakir sono andati avanti per ore. Secondo alcune ricostruzioni, i jihadisti avrebbero aperto il fuoco contro la stazione di polizia locale.